Stavolta l'Unità non mi è piaciuta
"Freddo e ironico il presidente dei Ds ha risposto a tutte le domande" E' uno degli strilli con cui l'Unità di oggi presenta l'audizione di D'Alema alla commissione Mitrokin. Ora è chiaro che è stata tutta una bufala di mezza tacca, che le vittime di questa bufala abbiano voglia di prendersi qualche soddisfazione, che D'Alema è il presidente dei DS e merita qualche po' di piaggeria. Ma toni e contenuti dell'articolo "Mitrokhin, la clava diventa un boomerang" di pagina 7 di ieri vanno ben oltre il limite accettabile di culto della personalità, fino a ricordare quelli che Il Giornale usa quando parla di Silvio. Dunque si legge di
"un D’Alema gelidamente
cortese, il quale ha attinto a piene mani alle sue riconosciute doti: memoria
di ferro, sprezzante ironia e cattiveria." Scusate amici de l'Unità, questo tono ve lo passo nelle pagine in cui Alberto Crespi racconta di Aragon contro gli orchi, ma non in quelle di cronaca politica. Per favore, ricordate che la sinistra di tutto ha bisogno, tranne che di un leader "sprezzante e ironico". Menchemeno di giornalisti compiacenti che lo celebrano con troppi aggettivi.
Ed ecco l'articolo...
Mitrokhin, la clava diventa un boomerang
D’Alema smonta le tesi della Commissione: «Perché invece non indagare sull’aumento dei prezzi?»
di Enrico Fierro
ROMA Ribattezzate la Commissione
Mitrokhin. Cambiate nome a quella
che doveva essere l’arma letale costruita
per inchiodare i comunisti e i
loro improvvidi alleati alle loro responsabilità
di spioni dell’Urss, di
servi del Kgb, di nemici dell’Italia e
dell’Occidente. Non bollatela più come
una «commissione clava» che il
centrodestra vuole usare contro l’opposizione,
perché da ieri - giorno
dell’audizione di Massimo D’Alema
- è diventata un
micidiale boomerang,
costruito
con legno duro,
che usato male
rischia di schiantarsi
sulla faccia
del suo imprudente
lanciatore.
Cosa che puntualmente
è accaduto
nell’austera
aula di Palazzo
San Macuto.
Occasione ghiotta per gli inquisitori
del centrodestra, che si sono però
ritrovati un D’Alema gelidamente
cortese, il quale ha attinto a piene
mani alle sue riconosciute doti: memoria
di ferro, sprezzante ironia e
cattiveria. A farne le spese Enzo Fragalà,
avvocato siciliano e parlamentare
di An. Con lui l’ex presidente del
Consiglio ha dato il meglio di sé. «Il
suo riferimento è ultroneo, fuori luogo...
». «Lei insiste nel dire il falso...».
«Semi fa la stessa domanda due volte
vuol dire che lei mi considera un
bugiardo», (frase intervallata da un
diciamo e pronunciata con lo sguardo
che trafigge l’interlocutore). «Ci
sono documenti, mie dichiarazioni
che penso lei abbia avuto modo di
leggere» (sorriso sarcastico). «Non
ho letto le carte del dossier Mitrokhin
quando ero presidente del Consiglio.
Avevo altro da fare, c’erano
tanti impegni, i problemi dell’economia...
».
E ad un altro senatore della maggioranza,
che pure aveva fatto precedere
la sua domanda da un timido
«mi corregga se sbaglio»: «Non mancherò
di certo». Due ore così, di autentico
tormento per il Presidente
della Mitrokhin, Paolo Guzzanti.
«Se c’è qualcosa da chiarire io sono
pronto, ma se vogliamo parlare della
storia del Pci ci sono altre sedi». Guzzanti
muto. D’Alema spietato: «Una
indagine di questo tipo deve essere
condotta nel rispetto delle persone,
altrimenti si ingenera il sospetto che
si vogliono agitare dei fantasmi, o
alimentare sospetti e nutrire la polemica
politica quotidiana». Guzzanti
sulla difensiva: «No, questa non è
una commissione killer. Nessuno ha
mai usato la clava e se la vedessi alzare
sarei il primo a farla depositare».
D’Alema impietoso: «E’ difficile agitare
il nulla come una clava, caro
presidente». E qui la clava acquista
definitivamente la forma del boomerang.
Ma il colpo finale, il presidente
del Ds lo assesta parlando con i giornalisti.
«Questa commissione è sconcertante.
Non c’è nulla da chiarire,
c’è la relazione Frattini che fu approvata
all’unanimità (il riferimento è
alla relazione del Comitato di controllo
sui servizi segreti, all’epoca
presieduto da Franco Fratini, Forza
Italia, approvata da tutti i gruppi parlamentari
in una seduta che durò
appena trenta minuti, ndr)». Breve
pausa e affondo: «Qui si cerca solo
di mettere in difficoltà l’interlocutore
con domande tipo “ma lei esclude”,
“lei può veramente dire che...” e
cosette così. Un modo di concepire
le inchieste parlamentari semplicemente
sconcertante». Commissione
clava? «Ma no, è solo un’arma spuntata.
C’è da chiedersi se in un Paese
che ha tanti problemi sia giusto impegnare
risorse dello Stato solo per
togliersi la soddisfazione di chiamare
sul banco degli imputati gli avversari
politici. Ma perché non fanno
una commissione per scoprire le cause
dell’aumento dei prezzi? Forse gli
italiani sarebbero più contenti».
Il dossier Mitrokhin. Dell’esistenza
del dossier conservato dall’ex
archivista del Kgb, D’Alema venne
informato nel settembre del ‘99 da
Sergio Mattarella, vicepresidente del
Consiglio con delega ai servizi. In
sintesi, le carte del dossier stavano
per uscire pubblicate in un libro e la
procura di Roma aveva già aperto
una inchiesta. «Noi - ha spiegato
D’Alema - decidemmo di non opporre
il segreto di Stato, così chiedemmo
al servizio segreto britannico
se potevamo o meno consegnare
il materiale, assolutamente top-secret,
alla magistratura». Le carte furono
inviate alla Commissione stragi.
«E la riservatezza - ha aggiunto
D’Alema - fu totale, al punto che
tutto finì sui giornali». Il dossier conteneva
notizie esplosive? D’Alema
scettico: «Si trattava di carte di scarso
valore, che a detta degli stessi servizi
segreti non avevano alcun interese
per la sicurezza del Paese. Forse,
qualche interesse potevano averlo
per le ricerche giornalistiche sul passato
». Quando D’Alema seppe del
dossier? «Nel settembre del ‘99». Fatto
confermato dallo stesso Guzzanti
che smentisce il deputato Fragalà:
«La lettera dei servizi segreti inglesi è
del 29 aprile ‘98, prima che entrase
in carica il governo D’Alema. Non vi
fu nessun passaggio di consegne su
questa vicenda tra i due presidenti».
L’oro di Mosca. Si tratta di un
vecchio episodio del giugno 1991.
L’Urss si stava sgretolando e qualcuno
pensò bene di mettere al sicuro
qualche decina di miliardi da Mosca
in banche europee. Tramite un finanziere
diModena vennero contattati
dei funzionari del Pci-Pds perché
il partito agevolasse l’operazione.
D’Alema: «L’ho sempre ritenuto
un affare poco chiaro e probabilmente
una provocazione nei nostri confronti
». Un trappolone, insomma.
Al punto che D’Alema, allora dirigente
del partito, inviò un funzionario
del suo partito aMosca per avvertire
le autorità di quanto stava accadendo.
Per quella vicenda, l’ex presidente
del consiglio venne anche convocato
al Quirinale dall’allora Presidente
Cossiga, al quale spiegò tutto.
Domanda di Fragalà: «Perché non
informò subito la magistratura?».
Rsposta seccata: «Perché come hanno
chiarito gli stessi magistrati non
ero tenuto a farlo, la vicenda non
evidenziava alcun elemento che potesse
far ipotizzare
un reato». Di
nuovo Fragalà:
«All’epoca Cossiga
venne informato
dall’ambasciatore
sovietico,
il quale gli rivelò
che il personaggio
che aveva
avanzato la
proposta al
Pci-Pds era un
grande imprenditore
italiano che aveva interessi in
Russia». D’Alema spazientito: «Evidentemente,
di passaggio in passaggio,
la statura di questo personaggio
è cesciuta. Io credo che fosse semplicemente
un uomo adeguato a quello
che si voleva fare ma nulla di più».
Dossier Havel. L’11 marzo del
‘99, il presidente della Slovacchia,
Vaclav Havel, confermò a D’Alema
di aver consegnato nel settembre ‘90
un carteggio sui rapporti tra 007 dell’Est
e il terrorismo italiano. Tema
succoso, per la destra, che ha sempre
sostenuto che in quelle carte ci fossero
riferimenti al caso Moro. Ma lo
stesso Havel, secondo D’Alema, attribuiva
scarso valore a quel dossier, al
punto che non ne ricordava il contenuto.
Intervento di Paolo Guzzanti:
«Il dossier arrivò in Italia, lo videro
Cossiga (all’epoca capo dello Stato,
ndr) e De Michelis (in quel periodo
ministro degli Esteri, ndr)». Secca
smentita di Cossiga: «Chiesi ad Havel
di collaborare, ma Havel non mi
ha mai consegnato nulla. Non mi ha
mai dato carte, né io ho mai visto il
cosiddetto dossier Havel».
Fine della audizione e destra nervosa
assai. Al punto da smentire e
attaccare Frattini. Di nuovo Fragalà:
«D’Alema si è trincerato dietro la
relazione del Copaco del 2000. Peccato
che il Copaco sia stato fuorviato
e preso in giro da Batteli e Siracusa
(all’epoca capi dei servizi segreti,
ndr), con false dichiarazioni».