L’idolatria della terra
di Moni Ovadia
Il terrorista ebreo di Israele ha fatto la sua comparsa nel modo più classico: un fanatico spietato che spara alla cieca contro civili inermi per uccidere il maggior numero possibile di esseri umani in ossequienza alla “legge” del suo dio, un idolo sanguinario e tribale, non il Dio vivente del monoteismo che è Signore della pace, della giustizia, della fratellanza e Padre di tutti i popoli. Non si tratta più di un caso isolato, ma dell'avanguardia dell'integralismo nazional-religioso, la peggior peste della storia dell'umanità, che fra gli altri orrori ha alimentato l'odio antisemita e provocato un interminabile serie di massacri contro gli inermi ebrei della diaspora.
Insieme a molti altri lo avevo detto anch'io, da saltimbanco con la vocazione per l'esilio e per la condizione dello straniero come paradigma del vivere giusto, che il seme avvelenato dell'occupazione e della colonizzazione avrebbe dato i suoi frutti di odio e di sangue. Il profeta della nuova Israele sionista, Yeshayaou Leibowitz, già all'indomani della vittoriosa guerra del '67, mentre i più si abbandonavano all'euforia e alla glorificazione del genio militare israeliano, aveva ammonito con parole "scandalose" ad avviare immediatamente il ritiro delle truppe d'occupazione prevedendo, in caso contrario, gravi sciagure. Recentemente un politico avveduto come Avraham Burg, ex presidente della Kenesset, il parlamento israeliano, ha stigmatizzato in un sua lettera aperta al paese la corruzione dell'ethos ebraico a seguito delle continue sopraffazioni perpetrate ai danni del popolo palestinese. Le sciagure sono arrivate, come nel peggiore degli incubi, sono maturate nel brodo di coltura di una politica militarista, della pratica forsennata delle rappresaglie, degli omicidi "mirati" che seminavano morte fra i civili, dell'arroganza dell'occupante che umilia un intero popolo, che ne soffoca l'esistenza. Oggi tocca ad un Sharon realista subire quell'odio che ha tanto contribuito ad attizzare, come i suoi predecessori Nethanyau, Shamir, Begin, ma in solido anche con la miope furbizia di molti governi a guida laburista prima e dopo l'eroico Rabin che mai hanno arrestato il processo di colonizzazione e di esproprio delle terre palestinesi. Oggi i coloni ultra nazionalisti si sentono traditi da quello che fu il loro idolo, Arik il duro, Arik melekh israel, Arik il re d'Israele. Collocandosi dal loro punto di vista gli si può dare torto? Chi ha promesso la Grande Israele? Chi ha lasciato credere che i palestinesi sarebbero stati confinati in piccoli invivibili bantustan? "Trasferiti" altrove con la forza, se necessario? Adesso essi chiedono, pretendono l'adempimento delle promesse. Chissà cosa ne pensano le "profetesse" inendiarie nostrane? Che è tutta colpa dell'Islam? Che si tratta di un caso isolato? Che in fondo anche gli ebrei possono avere l'eccezione che conferma la regola? Ma noi che non siamo razzisti né antisemiti sosteniamo da sempre che in quanto esseri umani anche gli ebrei si comportano come gli altri, quindi possono essere terroristi, fascisti, razzisti e in quanto tali possono essere criticati e condannati, senza sconti di sorta. Il primato etico dell'ebreo, la sua eccellenza intellettuale, l'unicità della sua storia non sono dipesi da qualche presunta superiorità ontologica, ma da una condizione esistenziale, di paria, di straniero, di popolo che sceglie come patria l'esilio e la glorifica, che fa del pensiero spirituale libero e critico il tempio del proprio culto. Quando l'ebreo sostituisce la torah con la mistica della terra regredisce alla condizione di qualsiasi altro nazionalista, perde la propria eccellenza imbocca il cammino delle perversioni idolatriche. I nostri maestri ricordano che il Santo Benedetto non ha concesso il Sabato ai goym (i popoli) perché sono idolatri della terra. I nazionalisti non hanno la dignità per accedere alla luce sabbatica e i nazionalisti ebrei men che meno. Per uscire da questa spirale avvelenata è necessario un atto di coraggio e di umiltà, è urgente ritrovare il senso vertiginoso di un paradosso salvifico: chiedere aiuto al popolo palestinese, alle sue forze più vive e intelligenti per imboccare con decisione trattative di pace definitive sul modello della pace di Ginevra: due popoli, due stati sul confine della linea verde, Gerusalemme capitale delle due nazioni e un equo accordo sulla questione dei profughi del '48. Oggi più che mai la libertà, la dignità nazionale, la prosperità del popolo palestinese è nel precipuo interesse di un Israele democratico, prospero e sicuro nei propri legittimi confini.
perfortuna che c'e' Moni Ovadia, solitamente qunado si hanno opinioni del genere e chi hai davanti non sa chi tu sia vieni tacciato di "pregiudizio antisemita" per aver criticato lo stato d'israele: l'altra faccia della medaglia e' che la politica imperialista dello stato d' israele fornisce sempre solidi elementi alla feccia sedicente "antisionista".
Da ebreo, che si sente frequentemente dare dell'antisemita ogni volta che esprime le proprie idee sulla politica di Israele, leggere o sentire Moni Ovadia è sempre una consolazione.