Donne sull'orlo di un conto in Svizzera
di Marco Travaglio
Mancava proprio, nel catalogo della letteratura italiana, un libro sulle «donne travolte da Tangentopoli». Fortuna che c'è Stefania Craxi: ci ha pensato lei. Qualcuno potrebbe pensare che la figlia d'arte abbia sentito il dovere di sdebitarsi con le tante donne derubate dei soldi e della dignità dal sistema rapinoso organizzato dalla partitocrazia di cui suo padre era fra i massimi gerarchi. Con le tante donne che, pur avendo talento, erano sprovviste di tessera socialista e per giunta non frequentavano i nani e le ballerine di corte, dunque non lavoravano o non facevano carriera (accadde, per esempio, alla migliore ballerina della Scala). O con la moglie di quell'imprenditore brianzolo che si suicidò perché - scrisse nella lettera d'addio alla famiglia - «non voglio pagare tangenti, sono tagliato fuori dagli appalti, quindi l'azienda per cui ho lavorato una vita sta per fallire». O Stefania Ariosto, che per fare il suo dovere e dire la verità, è stata -lei sì- minacciata mafiosamente, avvicinata perché ritrattasse, e alla fine abbandonata a se stessa.
Santa ingenuità. Le vittime di Tangentopoli, per la signora Craxi, sono le mogli e le figlie dei tangentari, tutte «persone umili», ci mancherebbe. Che in un brevissimo periodo, fra il 1992 e il '93, subirono di riflesso l'onda (anzi l'onta) d'urto delle mazzette che circolavano nelle loro case dorate. Secondo l'autrice, intervistata in pompa magna dal Giornale della ditta, «a parte il caso Contrada, ancora aperto, tutte le altre vicende narrate si concludono con l'assoluzione del presunto colpevole». L'intervista è corredata da quattro fotografie: una della signora Contrada, le altre tre della moglie di Craxi (latitante, condannato due volte in via definitiva a 10 anni e, in via provvisoria, a un'altra quindicina), della figlia di Cirino Pomicino (due condanne irrevocabili), della moglie di Mario Chiesa (condanna definitiva). Si cita poi il caso della figlia di Moroni (morto prima del processo, nel quale i coimputati furono condannati e si accertò che l'onorevole ricevette «200 milioni nelle sue mani in una cartellina tipo quelle da ufficio, avvolta in un giornale»). E resta il rammarico di non aver potuto, per ragioni di tempo, rendere giustizia anche a quella santa donna di Maria Cristina Fazio, quella dei bacetti telefonici a Fiorani, ma si provvederà in una prossima edizione: «Quando scriverò il seguito di “Nella buona e nella cattiva sorte”, inizierò da lei».
Salvo distrazione dei recensori, non si parla di Enza Tomaselli, la fedele segretaria di Craxi che presidiava l'ufficio di piazza Duomo (quello della targa commemorativa) ricevendo i cassieri di Bettino con relative valigette ricolme di contanti. Fu poi condannata a 2 anni e mezzo per favoreggiamento senz'aver messo in tasca una lira. Sarebbe imbarazzante parlarne: dimenticata. Salvo dimenticanze, non c'è traccia nemmeno di Bruna Cagliari, la vedova del presidente craxiano dell'Eni che riportò dalla Svizzera un piccolo gruzzoletto accumulato negli anni d'oro su un conto cifrato della famiglia: 8 miliardi e rotti. Per la serie: «rubavano per il partito». Nemmeno un accenno ad Anja Pieroni, a cui Bettino regalò una tv, un albergo e qualche miliardo per le piccole spese. Per la serie «i costi della politica». Ingiusto oblio anche per Pierr Di Maria, moglie dell'indimenticato Duilio Poggiolini, che teneva i lingotti d'oro nel puff del salotto; e per la signora Curtò, moglie del giudice corrotto, che disse di aver gettato nel cassonetto della spazzatura 400 mila franchi svizzeri. Per la serie: «persone umili». Silenzio di tomba anche su Francesca Tanzi, che collaborò col padre a devastare la Parmatour con spese folli, gettando sul lastrico centinaia di persone (fra cui, si presume, parecchie donne).
È il tragico destino di tutte queste martiri che induce Stefania Craxi, fortunatamente, a restare a pie' fermo e forse addirittura a candidarsi nella Casa della Libertà Provvisoria. Dev'essere per la presenza del ministro Castelli, lo stesso che 12 anni fa urlava: «Bettino, dov'è finita la fontana sparita a Milano?», accusandolo di aver rubato una delle poche cose che non aveva rubato (4-8-93). E ancora: «Non posso credere alla malattia di Craxi. Chiedo che sia posto sotto tutela coatta» (22-10-97). Si attende con ansia la riedizione del libro, nella quale - ci auguriamo - non mancherà un doveroso omaggio alla signora Dillinger, alla figlia di Arsenio Lupin e alla zia di Pietro Gambadilegno.
Arsenio Lupin (personaggio immaginario basato sul molto reale e amato Jules Bonnot) era di altra razza rispetto a quei loschi figuri che rubarono a man bassa per almeno tutto il periodo del lugubre pentapartito mazzettaro. Ricchi che rubano ai poveri, beninteso.
Rimane curioso che l'intervista alla Crasci abbia luogo sul medesimo quotidiano che si vanto' per anni di aver "inventato" tangentopoli con l'inchiesta sui fondi scomparsi nella ricostruzione dell'irpinia. evidentemente per i camerati giornalisti ogni tanto squilla il contrordine: ci si riassetta gli stivali e le bretelle e si obbedisce come un sol uomo.