Milano, fermi all’ultima curva
Centrodestra, centrosinistra, astenuti alla pari e per l’ex prefetto un quasi gol e molti rimpianti
di Oreste Piovetta
Alla fine ha vinto Letizia Moratti, che non è arrivata al 52 per cento, e ha perso Bruno Ferrante, che non è arrivato al 47 per cento. Letizia Moratti sarà il sindaco di Milano per i prossimi cinque anni. Ha fatto sapere che ci si dovrà rivolgere a lei chia-
mandola «signor sindaco», che l’anno prossimo ridurrà la tassa sulla casa e quella sui rifiuti. Non è certo che scelga la linea del tailleur: ha reso noto che per l’abbigliamento «farà di testa sua». Difficile comunque immaginare bizzarrie e fantasie. Ha ringraziato tra le lacrime, il marito, il petroliere Gianmarco Moratti, che ha appena guadagnato più di un euro dalla quotazione in Borsa dell’azienda di famiglia la Saras (con scarsa soddisfazione per i sottoscrittori, visto che il titolo all’esordio è subito crollato). Chissà se qualcosa Gianmarco ha impegnato nella costosissima (tre milioni di euro accertati contro i 360 mila dell’avversario) campagna elettorale della signora, attivissima nel sorridere da manifesti giganti che hanno tappezzato muri, tabelloni, fiancate dei mezzi pubblici. A fianco della signora Moratti, s’è spesso visto all’opera con la foga degli ultimi tempi il suo designatore, Silvio Berlusconi, che dando prova dell’esistenza del partito unico della destra aveva promosso sindaco la sua ministra (allora ancora in carica) parecchi mesi fa, durante una kermesse dei socialisti di Stefania Craxi, senza avvertire neppure mezzo dei suoi alleati. Berlusconi capolista (come a Napoli) ha pure conquistato il record di preferenze: il suo nome l’hanno scritto cinquantaduemila milanesi.
Tanto impegno milionario e strillato (anche da parte della solitamente rigida e compassata Moratti, che s’era scoperta all’improvviso pasionaria da stadio) ha condotto a quel risultato, a una vittoria che potrebbe però essere letta al contrario: nel senso che il 52 per cento sfiorato è ben lontano dal 57 e passa per cento del predecessore, l’attendente berlusconiano Gabriele Albertini (trascinato anche lui dai conti dei metalmeccanici all’arena politica da Berlusconi). In questo senso avrebbe qualche motivo l’ex prefetto Bruno Ferrante a sventolare la bandiera del quasi gol. C’è mancato poco, ha ragione di lamentarsi Ferrante, pochi credevano in lui e lui comunque è riuscito a raccogliere attorno a sè tutto lo schieramento del centrosinistra e andare ben in là del trenta per cento (più varie divisioni: la “cognata” Milly Moratti e Di Pietro) conquistato da Sandro Antoniazzi nelle precedenti consultazioni.
Insomma, se si considerano i numeri dei due schieramenti, qualcosa si muove, come qualcosa s’era mosso precedentemente, nelle varie suppletive, nelle regionali e nelle politiche. la prossima volta il centrosinistra potrebbe davvero farcela, ma si dovranno attendere cinque anni.
Giusto così e forse poco da aggiungere se non si dovessero prendere in considerazione quei trecentomila elettori milanesi, che hanno scelto di disertare (un terzo buono degli aventi diritto, poco più di un milione).
È vero che stiamo in fondo poco al di sotto o all’altezza delle medie “settentrionali”, ma in una contesa importante, difficile, in equilibrio e quindi appassionante come quella milanese ci si sarebbe dovuti attendere qualche cosa di più. Come si fa a rivendicare il ruolo, perso da un ventennio e cioè dagli anni craxiani, di capitale morale, se poi si mettono in mostra astensioni che parlano di fallimento non solo della politica ma anche di un più generale senso civico (o di una più generale cultura della democrazia)?
Insomma vincenti e oppositori dovrebbero preoccuparsi di defezioni (che hanno colpito uno schieramento e l’altro), tanto vistose e Letizia Moratti, neo signor sindaco, dovrebbe chiedersi come immaginare una qualche leadership nazionale, contando sulla pochezza di trecentomila voti (in un contesto urbano che supera i quattro milioni di abitanti). Perchè sia andata così è difficile indicare: cioè le ragioni sono tante, si sovrappongono e si fondono. Una sta probabilmente nell’onda lunga della “Milano da bere” e della successiva tangentopoli, saldando l’individualismo rampante con la sfiducia crescente nella politica e trovando la scappatoia illusionista del berlusconismo, che qualcosa perde, ma non è qui, nella sua culla, in rotta. Forza Italia aveva il 37,5 per cento cinque anni fa, è scesa adesso al 32,2, ma la Moratti con la sua lista ha messo da parte un cinque per cento. I numeri tornano, insomma, nel segno della stabilità. Qualcosa avranno da lamentarsi quelli di An, scesi di due punti. Cambia poco a nulla per l’Udc (2,43 per cento). La Lega può solo piangere: a Milano è un partito del 3,7 per cento e il quindici per cento di nove anni indietro (quando la primo turno s’era presentata sola con il sindaco uscente, Formentini) appartiene a un altro secolo.
I partiti del centrosinistra possono gioire di una risalita rispetto a cinque anni fa. L’Ulivo, tenendo conto della lista Ferrante, crescerebbe di quattro punti e andrebbe alla pari con le politiche. Cala Rifondazione, ma c’è una lista “Uniti con Dario Fo”, che annacqua il confronto. La Rosa nel pugno scende dal 2,9 per cento delle politiche all’1,4 per cento. Il connubio radical socialista non seduce in una città che una tradizione radicale e socialista l’avrebbe. Sono comunque piccole percentuali, che lasciano le cose come stavano: con il centrodestra al governo della città, dopo tredici anni di Formentini e Albertini. Si arriverà ai diciotto anni sotto lo stesso segno di Forza Italia, con l’amarezza di un traguardo mancato però stavolta per un soffio. Così ha ragione Nando Dalla Chiesa, non quando chiama in causa Prodi e il governo a spiegare con i loro ritardi la sconfitta, ma quando propone una festa di ringraziamento per Bruno Ferrante, perchè «il centrosinistra ha ottenuto a Milano il su risultato migliore da quando esiste l’elezione diretta del sindaco».
Probabilmente ha ragione anche Massimo Cacciari, quando a commento sostiene che con Umberto Veronesi la strada sarebbe stata più facile. Ma l’oncologo, popolarissimo (e bravo ministro della sanità), autentica star milanese, trovò su quella strada i soliti critici con le sopracciglia aggrottate, non per la personalità del candidato, per carità, ma «per il metodo»: mancanza di collegialità.
Ha sicuramente ragione anche Bruno Ferrante, quando accusa di scetticismo quanti avrebbero dovuto sostenerlo. Come dimostra il caso Veronesi, non ce n’è mai uno che vada bene a tutti. Neppure di fronte a lui, il rigoroso servitore dello stato che ha detto di Milano cose esemplari, che finalmente ha parlato di politica e di strategie, il centrosinistra s’è preso a cuore fino in fondo il destino locale e nazionale di Milano.
insisto: siamo l unica città in cui tra politiche e comunali l'unione ha perso 71 mila voti (rispetto agli 81 mila persi dal polo) mentre nelle altre è stato il polo a perder tanti voti e pochi ne ha persi l'unione.
Se ci fosse stato Veronesi questo non sarebbe successo? Non lo so.. Se non c'è un pochino più di TONO non c'è candidato che tenga..Se si considera normale non essere presenti al voto..
siamo sicuri che tutti parlamentari di centro sinistra residenti a milano abbiano votato?
Il discorso è: E il candidato che, senza che noi di debba fare nessuno sbattimento, leggere i giornali, provare ad informarci, capire quale è davvero la situazione, che si può magari farcela davvero, deve convincerci ad andare a votare? O siamo noi, tutti, in prima persona che dobbiamo mobilitarci, credere in un cambiamento possibile, renderci conto che forse il candidato che abbiamo potrebbe anche non essere quella pappamolla che ci fa comodo credere che sia (se Milano non cambia, potremo sempre continuare a lamentarci in santa pace e a dare le colpe del mancato cambiamento ad altri)?
Io sono sempre, per natura, diffidente nei confronti di chi si lamenta e basta. Di chi, a posteriori, dice "è colpa del candidato, io l'avevo detto". Le vittorie si costruiscono sputando sangue, remando tutti nella stessa direzione, una volta che si è deciso di voler vincere. Questo non è stato, Ferrante ha dato tutto. Ora è un uomo ferito e probabilmente una carta persa. Trovarne un'altra, cosa che in molti credono facile, più valida sarà durissima.
Ieri saera, Rai 3, Primo Piano:
Massimo Cacciari addebitava la sconfitta elettorale a Milano alla insipienza della dirgenza di centro-sinistra ed all'accantonamento della candidatura di Umberto Veronesi.
Cacciari prima di parlare dovrebbe imparare a conoscere le persone e le cose.
achab (sono serio): mi illumini, grazie.
:-)
Cacciari va agitando da tempo la questione del settentrione industrializzato che non viene capito. Il problema è che lui è l'ultima delle persone qualificate per illustrarlo, e la continua riproposizione dell'argomento senza offrire spunti utili ad affrontarlo, è solo retorica petulante, che tra l'altro riecheggia quella del polo.
Oltretutto più in generale il sindaco veneziano ha la fastidiosa abitudine di distribuire sentenze drastiche sull'operato altrui, mentre farebbe meglio a concentrarsi su ciò che lo riguarda direttamente.
Sul mito della questione settentrionale oggi su Repubblica c'è un'interessante confutazione di Diamanti, dati alla mano.
Luigi, è una domanda o un'affermazione?
achab, ho dimenticato il punto interrogativo !
era una domanda, ripeto seria.
:-)
achab, se lo ritieni puoi darmi una risposta privata.
Ritengo che Veronesi, come molti qui, non fosse la persona adatta. Per età, per posizioni politiche espresse, e per reale competenza e conoscienza dei problemi del territorio milanese.
AL contrario, Ferrante era il candidato ideale: conosce Milano fin nei tombini, sa perfettamente dirti di qualsiasi cavolo di isolato, non di zona, quali sono i principali problemi. Ha girato come un pazzo per tutti i mercati, le bocciofile, i comitati, ha ascoltato persone, idee, propositi, anche quando era poco gradito. C'ha messo la faccia anche quando gli altri della sua coalizione si defilavano: vedi la manifestazione dei commercianti in Buenos Aires dove è stato pesantemente contestato e fischiato non da cittadini (come Letizia Moratti il 25 aprile) ma da forze politiche: un gruppo di Alleanza Nazionale. Eppure è stato zitto, nessuno gli ha espresso solidarietà, e lui è stato zitto e tirato dritto. Sapeva (è brutto parlarne al passato, davvero) dialogare e farsi capire da tutti i gangli della città: dal Leoncavallo ai taxisti. prima di prendere una decisione, da prefetto, ci pensava su 4 volte, si informava, valutava, ma poi la prendeva. E' uno determinato, coriaceo, e convinto di quello che vuole fare. Piaccia o non piaccia. Quanti altri ne abbiamo così? Di Veronesi, al di là dell'abile mossa di marketing (ma siamo sicuri che vogliamo questo, pur di vincere? cioè chiunque punrché sia famoso) potevamo dire lo stesso? Io, personalmente, per Veronesi mi sarei speso come mi sono speso per Ferrante?
Credo che Cacciari sia molto saccente e poco informato sui fatti che non lo riguardano direttamente. Chiunque a Milano ha seguito la campagna elettorale da prima delle primarie, non può non riconoscere certe cose. QUindi deduco che Cacciari non abbia seguito davvero da dentro. Ed è ovvio anche che sia così. Ma come lui credo non l'abbiano fatto in tanti, nemmeno a Milano. Chi con snobismo nei confronti di Ferrante, poco appariscente, poco da Oliviero Toscani forse, per intendendeci (ma questa, almeno per il sottoscritto, è una qualità impagabile), chi perché dava in partenza come "improba" la lotta e ha avuto paura di vincere. Come accadde all'Inter il 5 maggio.
Spero di averti "illuminato".
Achab, capisco davvero la tua delusione, ma secondo me fai un torto a te stesso, a Ferrante e alla città continuando con questa lamentela.
Ferrante non è stato vissuto dai milanesi come alternativa, ma come il prefetto di origine meridionale (negare questo dato vuol dire fare lo struzzo) e purtroppo in questa fase storica, le origini a Milano contano, non a caso lega e berlusconi nascono qui.
Non è che il luogo di nascita sia stato determinante, ma ha contribuito all'astensione.
Gianfranco Pasquino, intervistato alla radio stamattina, affermava che l'errore di Milano è stato proprio presentare un candidato non "radicato" nel territorio (non farmi l'esempio di Cofferati e Bologna perchè la situazione è diversa), come invece è avvenuto altrove, indicando in Penati, già sindaco di Sesto San Giovanni ed ora brillante presidente della provincia, l'esempio da seguire per tentare di conseguire una vittoria nella terra del berlusconismo legaiolo.
I partiti di csx una colpa ce l'hanno ed è quella di aver illuso una persona perbene che poteva davvero conquistare la poltrona di sindaco in una città che non si è ancora liberata dal sogno egoistico di Arcore, che allo stato sociale chiede, ma non vuole contribuire al suo mantenimento (ottima l'Amaca di Serra di oggi), perchè fanno una lettura distorta della realtà milanese.
Ci sono quartieri, intere vie lasciate al degrado che la liberalizzazione delle licenze ha permesso ( Via Imbonati, Via Sarpi, etc. etc.), dove gli abitanti, di cui molti anziani, hanno paura non vedono l'integrazione come opportunità, ma si sentono occupati "dai marocchini" e non riuscendo a capire che la responsabilità è dell'amministrazione comunale che non ha gestito la trasformazione, votano con la pancia coloro che solo a parole dicono di volerli difendere e vivono il csx come l'amplificazione dei questi fenomeni. Valutazione errata, ma è quella che danno questi cittadini milanesi.
Poi ci sono gli abbienti e Milano nei confini della cironvallazione è borghese, operai non ce ne sono più, sono stati espulsi dalla fabbriche e dalla città per l'alto costo della vita, purtroppo.
Credo che la Moratti sarà peggio di Albertini, l'amministratore di condominio, e suggerisco al csx di muoversi ora per il 2011, costruendo sul territorio una candidatura, forte, valida e riconosciuta dagli abitanti della metropoli meneghina .
Pensiamoci ad un nuovo Penati per il futuro e lavoriamoci da subito, altrimenti la lega, la compagnia delle opere formigoniana e il berlusconismo un po' becero non ce li togliamo più dai piedi.
Dimenticavo: Cacciari pontifica da Venezia, Veronesi non avrebbe avuto più successo di Ferrante.
Se voleva impegnarsi per Milano, Cacciari poteva restare qui, non lo ha fatto e allora sarebbe opportuno un po' di silenzio. NOi abbiamo già la brichetto da sopportare.
achab, il tuo richiamo all'età di Veronesi non è convincente. E Napolitano allora ?
Le posizioni politiche espresse non le conosco, magari conoscendole potrei argomentare di più.
Ma non mi sembra accettabile sminuire il prestigio scientifico anche internazionale di Veronesi.
pa.ro: non puoi liquidare il ragionamneto con una tautologia, andiamo !
Luigi: c'è stata una serrata discussione su questo blog riguardo ai vari nomi che erano stati fatti come possibili candidati, prima che si arrivasse a Ferrante.
E in particolare su Veronesi. Se cerchi negli archivi troverai esposte molte argomentazioni per cui non convinceva. E l'età o il prestigio scientifico non erano in cima.