Shiatsu, zecche e Eurostar per Gallarate,
di Sergio Rizzo
In preda a raptus creativo, le hanno provate tutte. Facendo, regolarmente, un buco nell'acqua. Ma chi volete che salga su un Eurostar per farsi fare un massaggio shiatsu, nemmeno gratis? Cinquanta euro oltre il prezzo del biglietto, costava il trattamento accessorio. Durato un mese. Come un altro esperimento: quello delle conversazioni personalizzate, a pagamento, in inglese. Così, mentre l'ex vulcanico capo del marketing, Paolo Gagliardo, cercava disperatamente di dare risposte all'amministratore delegato Elio Catania, che chiedeva ai suoi uomini di avere «l'ossessione del cliente», le Ferrovie diventavano un'ossessione «per» il cliente. Inteso come pendolare. Zecche, cimici, sporcizia, ritardi record, servizio pessimo. Colpa della sfortuna, che assunse la forma di un'offensiva notturna dei barboni, che si tentò a un certo punto di arginare con massicci acquisti di filo spinato per recintare i depositi? Colpa dello sconto del 20% imposto alle ditte delle pulizie, che poi, per rimediare alle zecche, si sarebbe rivelato un aggravio del 12%? Oppure, più banalmente, colpa di un management non all'altezza?
Catania veniva dall'Ibm, e Silvio Berlusconi in persona l'aveva voluto al timone delle Ferrovie al posto del poco malleabile Giancarlo Cimoli. Vero è che Catania ce la mise tutta per non apparire come il solito lottizzato. Per esempio, assunse come capo delle relazioni esterne Silvio Sircana, fedelissimo di Romano Prodi e ora nuovamente suo portavoce. Una decisione che gli attirò le critiche della destra e non gli risparmiò quelle della sinistra: dopo qualche tempo, per giunta, Sircana scappò a gambe levate, con i capelli dritti per quello che stava succedendo. Ma il fatto è che Roberto Testore, che Catania dovette mettere successivamente a capo di Trenitalia, era, se possibile, ancora più digiuno di treni e rotaie. Arrivato alla Finmeccanica sull'onda della crisi della Fiat Auto, di cui era il responsabile, poi era stato spinto fuori anche dalla Finmeccanica. Planato sulla società che fa materialmente camminare i treni, aveva fatto una rivoluzione interna. Con il risultato che i ferrovieri, alla fine, si potevano contare solo sulle dita di una mano.
Questo tuttavia non spiega come sia stato possibile passare da un risultato di equilibrio al rischio di dover portare i libri in tribunale soltanto in un paio d'anni. Il governo non ha concesso gli aumenti delle tariffe, d'accordo. La finanziaria di Giulio Tremonti ha pure tagliato un sacco di risorse. Ma forse anche l'equilibrio lasciato da Cimoli era apparente, nel senso che era stato costruito abilmente modulando gli investimenti con i soldi (già allora pochi) che c'erano. Ciò non toglie che quando il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa si è visto presentare il conto della buonuscita di Catania, sette milioni di euro, abbia avuto un travaso di bile. Tanto più al pensiero che non era una cifra molto diversa da quella, più di sei milioni, che lo stesso Cimoli aveva incassato dalle Fs come «bonus per raggiungimento risultati». Epilogo di un film forse già visto.
Perché partire bene, alle Ferrovie, non è difficile. Il difficile è arrivare come si è partiti. Appena giunto, anche Lorenzo Necci, come Mauro Moretti, fece una circolare per imporre ai dirigenti l'uso del treno, limitando l'abuso dell'aereo. Ma dopo qualche tempo aprì una lussuosa sede delle Ferrovie italiane a Parigi. Non disdegnando le assunzioni dei parenti e amici di politici, come la cognata di Cesare Previti. A un certo punto voleva comprare dalla Stet la Mmp, la concessionaria pubblicitaria che manteneva i giornali dei partiti con generosi minimi garantiti, ma non ci riuscì. Riuscì, invece, a fare un accordo con la Rai per far passare contenuti propagandistici negli spazi dedicati all'informazione. Il massimo. Ma nei corridoi si giocava sempre a pallone, e anche Necci, come tutti i dirigenti, si sottoponeva al rito di farsi confezionare gli abiti su misura dal sarto di Villa Patrizi (un usciere bravissimo che lo faceva come secondo lavoro). Ma i bilanci erano sempre in rosso, nonostante il prepensionamento di 58 mila ferrovieri. Dieci volte quelli concessi a Cimoli: che per sopravvivere così a lungo ha dovuto anch'egli gestirsi il rapporto con la politica. Magari semplicemente inviando segnali.
Nell'anno in cui alle Ferrovie si registrava il primo utile della storia, e Berlusconi vinceva le elezioni insieme alla Lega Nord, comparve nell'orario una corsa Eurostar con partenza da Gallarate, località a un tiro di schioppo da casa del leader del Carroccio Umberto Bossi. Niente di che. Ma le Fs sono sempre state per tutti un'azienda insidiosa, dove si può inciampare a ogni passo. Un giorno Cimoli si vide recapitare, rifiutandola di pagare, una parcella da 120 miliardi di lire per il collaudo di un tratto dell'Alta velocità. E un altro giorno annunciò la cessione della Cit, la generosa agenzia di viaggi delle Fs che pagava i biglietti dei politici: salvo poi scoprire che, venduta per 31 milioni, avrebbe fruttato un incasso reale di appena 14.
Un episodio marginale, e pure emblematico di un progressivo, salatissimo e disordinato declino. Vent'anni fa, quando c'era Lodovico Ligato, le Fs avevano 216.128 dipendenti e 658 dirigenti. Oggi ne hanno 97.600, ma i dirigenti sono circa 1.200. La rete è diminuita da 16.183 a 15.915 chilometri. Le linee a binario unico sono pressoché le stesse. Ai tempi di Ligato i locomotori erano 5.620, oggi sono 4.732. Carrozze e rimorchi sono passate da 13.322 a 8.658. Dulcis in fundo, nel 1985 andava in treno l'11,5% dei viaggiatori: oggi siamo a poco più del 9%. E dieci anni fa, per andare da Roma a Milano, ci si metteva meno di adesso.
hanno disabilitato anche parecchie stazioni ,
dove sto io , come ho già avuto modo di dire , fermano pochissimi treni ,
a chi ha fatto notare a trenitalia tramite LaStampa che sono veramente ridotti all'osso, altro che servizio pubblico,un geniale manager ha risposto : beh che volete salgono solo tot persone mentre invece a quella vicina sono 20 volte di più .
chissa se qualcuno gliel'ha detto a sto scienziato che la metà son quelli del paese vicino .
si potrebbe mica vendere l'azienda a chi sa farla marciare meglio? chesso': alla turchia, all'indonesia, insomma, qualsiasi altra genia di tecnocrati migliori di quelli italioti.
magari gli regaliamo anche le poste, che assieme all'alitalia, sotto il dominio della destra fascioberlusconianaziendalisticocristiana, sono sprofondate nella totale ingestibilita' e inaffidabilita'.
non avrei mai pensato di dovermi ricordare con rimpianto dei servizi pubblici degli anni ottanta!
RASSEGNAMOCI, SIAMO ORMAI ALLA FINE.
FORZA BELLACHIOMA CHE L'ITAGLIA TRA BREVE SARA' DI NUOVO TUA E QUESTA VOLTA PER SEMPRE.
IO STO VICINO ALLA SVIZZERA E, CON UN PICCOLO "SCAVALCO" DELLE RETE CONFINARIA, SONO SUBITO DI LA'.
Merdaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!
DIMENTICAVO: I SOLDI SONO GIA' TUTTI DI LA'!!!!
addio
Se penso che la mia nonna, negli ultimi anni dell'altro secolo, si è trasferita in itaglia da Basilea dove era nata perchè "CON IL RE SI STA MEGLIO" mi viene da bestemmiare.
Da me non avrà più nemmeno una Messa anche se sono convinto che se avesse potuto prevedere questa italica situazione di merda non sarebbe mai venuta quaggiù.
maremma maiala...
7Ml di € per aver mandato a putt****, ehmmm, in rovina "l'azienda..."???
il nostro è davvero un paese inguardabile...,
'sta gente dovrebbe essere messa ai lavori forzati, altro che buona uscita...