Il Partito Democratico di Milano Metropolitana è impegnato, sin dall’annuncio di Giuliano Pisapia, nel costruire un percorso che porti alla scelta trasparente del futuro Sindaco di Milano, eppure da qualche settimana leggo qualcuno mettere in discussione alcuni punti che noi abbiamo considerato vincolanti sin dall’inizio. Le ribadisco a mo’ di piccolo decalogo così che non ci siano più dubbi in proposito.
Da quando è nato, per come è nato, il Partito Democratico non m’è mai piaciuto e non l’ho mai votato, neppure turandomi il naso. A fronte della consapevolezza che c’è un grande bisogno di un partito politico di sinistra moderna, nonostante l’impegno nel PD di tante persone che stimo, ho sempre visto quel partito come il tentativo estremo di far sopravvivere una classe politica ormai alla frutta
Le vicende di Milano hanno contribuito a confermare l’immagine. Quando Giuliano Pisapia si è candidato alle primarie nel 2010, il PD ha agito come peggio non avrebbe potuto (non lo dico io, ma Pisapia stesso nel suo libro), inventando un avversario con forte valore comunicativo, ma per vari aspetti inadeguato (Stefano Boeri) e arrivando a chiedere a Pisapia di ritirarsi. Vengono i brividi postumi: a leggere i sondaggi a posteriori risulta chiaro che la Moratti avrebbe sconfitto Boeri e Milano sarebbe rimasta altri cinque anni nelle grinfie di quel comitato d’affari e sussiego.
Per fortuna della città, Giuliano Pisapia ha saputo tener duro. Di quello che è successo dopo – nel bene e nel male – s’è parlato ampiamente e non è il caso di tornarci sopra, neppure col senno di poi che porta a leggere le cose con più realismo. Basti dire qui che il sindaco è stato molto più elegante col PD di quanto il PD lo fosse stato con lui.
Ora che Pisapia ha confermato la sua scelta di fare un solo mandato (e fa benissimo) si aprono scenari complessi sulla sua successione. Il rischio è ritrovarsi alle prese con le vecchie logiche, quelle che in passato ci avevano piazzato candidati perdenti come Sandro Antoniazzi o impresentabili come Bruno Ferrante (senza mai una parola di autocritica dopo ogni fallimento). Sarebbe il ritorno alla “cara vecchia sconfitta”, ma questa volta contro una destra tanto becera da risultare se possibile peggiore di quella che impose Albertini e la Moratti. Un incubo.
Veniamo al dunque. In questo contesto, l’intervento di Piero Bussolati sul sito PD Milano è una boccata d’aria buona. Perché pone dei punti fermi che – se saranno confermati e rispettati – potrebbero ricostruire tra i milanesi l’entusiasmo della campagna arancione, poi messo a dura prova dagli eventi successivi. I dieci punti citati da Bussolati sono sorprendentemente ineccepibili. Sulla base dell’esperienza del 2011 ne vedrei bene un undicesimo, che spinga i candidati alle primarie a dare informazioni precise ai cittadini sulla squadra di governo che formerebbero in caso di affermazione. Ma questo è un di cui.
Per ora rimarchiamo un punto di partenza nuovo, interessante e soprattutto inaspettato, visto il partito da cui proviene. Auguriamoci che Bussolati (1) sia sincero e (2) abbia la capacità e la forza politica necessarie a imporlo come linea guida imprescindibile. Quanto più la politica comprenderà che lasciare spazio alla partecipazione (in modo realistico, ovviamente) è utile e doveroso, tanto più sarà possibile costruire una successione a Pisapia in grado di continuare ciò che è stato ben fatto e migliorare il migliorabile.
Come inizio non si poteva aspettarsi di più. Stiamo a vedere come si evolveranno i giochi.