“Qui non si discute che ci possa essere stata un’effettiva responsabilità, o un sistema di deleghe non perfettamente funzionante. O forse è che il sistema giornalistico si sta trasformando così rapidamente da non poter rispondere con le stesse logiche e strumenti di anche solo 20-30 anni fa. Qui si discute il fatto che la condanna al carcere è arrivata perché all’interno di questo sistema, ad un Antonio che non può permettersi di pagare avvocati che seguano 34 cause diverse, finisce che una sfugga e finisca con una condanna al carcere. Già finire in carcere per un generico reato di opinione suona strano, sia per la natura del reato, che per il genericismo: Antonio non aveva responsabilità dirette su quell’opinione, scritta di pugno da un giornalista iscritto all’Albo. Finirci perché ricadono su di te responsabilità incommensurate perché il tuo editore si dilegua e perché non hai la capacità economica di difenderti, è inammissibile.”
Dall’articolo sull’assurdo caso di Antonio Cipriani su Gli Stati generali.
Il nostro Paese è finito tra quelli dove la libertà di stampa è a rischio o fortemente condizionata: il rapporto 2014 di Reporters sans frontières ci mette alla 73a posizione su 180 Paesi monitorati, accanto a Nicaragua e Tanzania per due ragioni: le intimidazioni mafiose e l’aumento incontrollato di cause per diffamazione intentate da personaggi pubblici eletti. Quest’ultima -secondo il rapporto – costituisce una reale forma di censura.
Anche chi scrive questo blog ne sa qualcosa. Ma si racconterà tutto a bocce ferme.
Ne parlano anche L’Indro e Globalist
L’account di Antonio Cipriani su Twitter