Al di là degli sberleffi, del fastidio, delle battute, lo scatto di nervi di Roberto Formigoni è anche il motivo per una riflessione sul potere e sui disastri che la politica produce quando consente (come avviene in Italia) una permanenza ai vertici al di là di qualunque buon senso. Di Roberto Formigoni si sa che ha un rispettabile curriculum di studi (liceo classico, laurea in filosofia, studi di economia politica alla Sorbona): con un governo in cui ci sono ministri senza laurea o corrispondente esperienza lavorativa è un dato positivo.
In compenso non ha lavorato nel mondo reale un solo giorno in tutta la sua vita.
Non uno. Arrivista, dotato di uno straordinario narcisismo (nonostante l’appartenenza ai memor domini dall’età di 23 anni) e di un arrivismo sconfinato, fin dalla gioventù si è dimostrato abilissimo nell’intrecciare relazioni, sempre sotto l’ala benedicente di Don Giussani, uno per molti versi simile a lui, cui si è dedicato anima e corpo fin dai primi 20 anni.
Questa sua attitudine l’ha portato a fare una carriera straordinaria, cominciata nel 1984 come parlamentare europeo, proseguita nel 1987 come deputato e culminata nell’elezione alla presidenza della regione Lombardia nel 1995. Non lascerà il Pirellone per 18 anni, non riuscendo a completare il terzo mandato a causa di un diluvio di inchieste che provocano la caduta della giunta. Formigoni prova a farsi rieleggere, ma non ce la può fare, la sua posizione – tra scandali e inchieste – è insostenibile e si deve accontentare di un posto in Senato e la presidenza della Commissione Agricoltura.
E’ proprio questo scranno in Senato il tema della riflessione. A noi comuni mortali la condizione regale di Roberto Formigoni (e di qualunque senatore) appare al limite del regale: stipendio da favola, fringe benefity inimmaginabili, viaggi gratis, ossequi a non finire, bouvette, eccetera. Ma per il governatorissimo arrivato a celebrarsi con uffici sontuosi, vacanze da sogno, trasferimenti in LearJet e finalmente con il Palazzo Lombardia (un grattacielo ambiziosissimo che molti milanesi definiscono “il pene che Formigoni vorrebbe avere”), essere “solo” senatore è un passo indietro intollerabile. Il check-in da senatore (quindi privilegiato, con ogni precedenza e ogni tolleranza del ritardo) deve sembrare un disagio insopportabile al Celeste, abituato a essere trasportato nei confort come fosse un Bokassa. E’ dunque comprensibile il suo sbrocco, che rivela sostanzialmente tre cose.
La prima è che il potere corrompe l’animo in profondità, lo sporca, induce chi lo esercita a sentirsi “più uguale degli altri”.
La seconda è che quando uno sbrocca, rivela il suo vero carattere: si sa che Roberto Formigoni è un arrogante, ma la vicenda rivela che è anche ossessionato dalla sessualità, che vive – a giudicare dalle parole con cui ha tentato di giustificare il suo comportamento – in modo contraddittorio e probabilmente patologico.
«Ripeterei quei termini? Assolutamente sì, ho utilizzato le parole che userebbe qualsiasi italiano maschio che nei momenti di rabbia perde la pazienza. Quando uno s’in…za, s’in…za! Sissì, sissì. Tutti coloro che mi scrivono me lo confermano. Colpa di Alitalia inefficiente e incapace».
La terza è che tutto è relativo: quella che per l’umano appare una condizione da sogno e inarrivabile, per l’Imperatore della Lombardia – passato da “primo tra tutti” a “uno tra mille” (e per ripiego, quindi uno dei meno influenti), escluso dalla ribalta, privato di giocattoli e organi sessuali di acciaio, vetro e cemento, costretto a sedersi tra i mortali su un aereo di linea – deve essere una sofferenza indicibile.
IMHO: lasciamo che soffra, sorridiamoci sul suo sbrocco di bile e gustiamoci quello che abbiamo, tanto o poco che sia, quello frustrato è lui.