Non ha senso stupirsi per l’uscita di Anzaldi e non hanno senso le critiche della “minoranza dem”. La storia del PD – e in realtà qualunque partito e gruppo politico – è questa roba qui, il controllo dell’informazione, di qualunque voce non allineata, a tutti i livelli, dal grande quotidiano o TG Rai giù giù fino al blogger sgradito. Si sa che da sempre i politici intimidano, minacciano, ricattano, querelano, licenziano, per zittire le voci sgradite. Ed è bizzarro che la “minoranza PD” stigmatizzi la frase di Anzaldi, visto che i suoi leader non sono nella posizione di poter scagliare prime pietre, anzi.
Per esempio il “dem” Alfredo D’Attorre (“posizioni incompatibili con la storia del Pd”) dovrebbe ricordare come si esprimeva il suo attuale leader Gianni Cuperlo all’epoca de l’Unità di Furio Colombo, quando Marco Travaglio scriveva qualcosa di sgradito al suo partito. Dopo la minaccia di togliere i finanziamenti ci fu l’intervento di D’Alema, che donò la testa di Furio Colombo a Berlusconi e fece cacciare Gomez e Travaglio, con un doppio risultato: la migliore Unità del dopoguerra fu riportata alla condizione di velina di partito e quindi fallì (per la seconda volta), mentre Gomez, Travaglio e Padellaro fecero il botto con il Fatto, dove continuano a scrivere serenamente le stesse cose.
In sintesi: Michele Anzaldi fa il suo mestiere di centurione, è lì perché ubbidisce, qualunque cosa dica il lauto stipendio lo piglia, responsabilità non ne ha, le persone dimenticheranno presto le sparate di Anzaldi come hanno dimenticato quelle di Gianni Cuperlo, passato da gorilla politico di D’Alema a evanescente leader della “sinistra dem”. E’ la solita, triste messinscena di Lorsignori, alla faccia nostra.
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