Giuliano Pisapia: “Abbiamo approvato con convinzione un progetto importante che valorizza ancora di più il tema della memoria. Una scelta che è in piena coerenza con il Monte Stella, costruito sulle rovine dell’ultima guerra, e che dal 2003 ospita un luogo dedicato ai ‘giusti’ di tutto il mondo. Il Giardino rappresenta oggi il patrimonio non di un singolo quartiere ma dell’intera Milano e, anzi, è stato preso a modello da tante altre città europee e non solo. E di questo dobbiamo esserne tutti orgogliosi”.
Il Giardino dei Giusti è patrimonio della città, ma altrettanto lo è il Monte Stella, come ogni parco. E noi milanesi siamo orgogliosi di entrambi.
Per questo in tanti diciamo che la trasformazione da prato alberato (un modello rispettoso della tradizione degli ebrei, che per onorare le persone importanti piantano alberi) non aggiunge valore, aggiunge solo muri. Che uno li ritenga brutti o belli non è tema. Il tema è che questo progetto invade un parco bellissimo con strutture esteticamente discutibili (e infatti sono discusse), pretestuose, fuori contesto, disarmoniche con il sentire di tante persone, me compreso.
Vede, io ho la possibilità di essere qui a scrivere queste note grazie al Giusto che nel 1943 aiutò mio nonno Giuseppe Alberto Manasse – ebreo, commerciante, antifascista, poeta e cantastorie molto noto nel Ghetto di Roma – a portare sua moglie Paola e sua figlia Giuliana lontano da Roma, sfollati in un paesino del Nord sotto un falso nome gentile.
Grazie a quel Giusto mia madre scampò la deportazione, dopo la guerra si trasferì con la famiglia a Milano, conobbe Luigi Biraghi tenente alpino non collaborazionista, reduce dei campi nazisti, lo sposò, mi mise al mondo e si prepara a ricevere un grande Mazal Tov per i suoi 100 anni, il prossimo 10 marzo.
Da come mia madre mi racconta che tipo era quel Giusto e da come lo raccontava il nonno Alberto, sono certo che gli piacerebbe essere ricordato con le piante, non con muri e ferro.