Vincenzone Paudice manca ormai da qualche anno, ma resta la sua memoria ogni volta che si ricordano i bei tempi del Gran Burrone e le sue orecchiette. Così stavolta le ho fatte a modo suo, ma con qualche piccola modifica che sono certo sarebbe piaciuta a lui. Per quattro persone occorrono un paio di mazzi grandi di cime di rapa, mezzo chilo di salsiccia, vino bianco, mezzo chilo di orecchiette fresche, olio, peperoncino, tanto parmigiano grattugiato. No, io non ci metto l’aglio.
Come prima cosa preparo la salsiccia: la taglio a tocchetti da 3-4 centimetri e la butto nella padella di ceramica con fuoco medio. Non servono grassi, ce ne ha abbastanza lei. Quando comincia a sfrigolare e a dorarsi, sfumo con poco vino bianco e quasi subito ho la gioia di vedersi formare una gran quantità di liquido. E’ il grasso della salsiccia che se ne va. Scolo e rimetto sul fuoco, sfumando di nuovo col vino. Dopo tre o quattro volte (dipende dalla qualità) la salsiccia si è ben sgrassata e dorata e non fa più liquido. lascio tirare il vino residuo, spengo, copro e lascio da parte.
Pulisco bene le cime di rapa e i gambi li levo. Capisco che è un po’ uno spreco, però in un piatto così, bello grintoso già di suo, preferisco avere solo le foglie. Metto nel grande wok un mezzo bicchiere di olio di oliva extravergine, lo scaldo, ci metto tanto bel peperoncino tritato, lascio andare un po’ e poi ci butto le foglie di cime di rapa, a riempire il wok. Giro a fuoco abbastanza alto, per farle morire subito, insaporisco con una bella spruzzata di nuoc mam e continuo a girare (questo consente la “mutazione” del nuoc mam, che perde la puzza di pesce marcio e diventa quel formidabile esaltatore di sapore naturale e sano).
Quando l’odore del nuoc mam è sparito sfumo col vino bianco, aggiungo un pochino d’acqua, abbasso il fuoco e copro per qualche minuto, fino a che le foglie diventano di un bel verde scuro intenso. Aggiungo acqua (non a coprire, diciamo a 2/3), alzo il fuoco e quando l’acqua è ben calda ci butto le orecchiette e mescolo bene, perché si bagnino e si impregnino.
Copro e imposto il tempo di cottura sull’orologio (non sarà sufficiente, perché la cottura in ristretto è più lenta di quella in abbondante acqua, ma la sveglietta indicherà il momento in cui si può avviare la fase finale). Ogni minuto circa scopro e giro bene, se le orecchiette hanno bevuto molto e il fondo è quasi asciutto aggiungo un po’ d’acqua calda. Questo è il momento di assaggiarne una per verificare la salatura, fermo restando che deve sembrare scarsa perché con questa cottura i sapori si concentrano.
Quando suona la sveglietta scopro e assaggio: probabilmente l’orecchietta è quasi cotta, quindi alzo il fuoco al massimo e aggiungo la salsiccia che stava lì ad aspettare nella sua padella. Giro e giro e giro, sempre da sotto in su e con cautela per non distruggere le foglie, in modo che pasta, salsiccia e cime di rapa si amalgamino. Quando l’acqua è evaporata quasi del tutto ed è rimasto un fondo denso denso (è l’amido che nella cottura classica in pentola va perso) spengo il fuoco e continuo a girare, sia per far evaporare l’acqua residua, sia per abbassare la temperatura fino a un punto compatibile col parmigiano.
Basta un minuto, posi si aggiunge il parmigiano grattugiato girando sempre e amalgamandolo. Se la temperatura è giusta, non troppo alta, non si formeranno i grumi e il parmigiano andrà a partecipare alla nascita di una crema di fondo che è la caratteristica magica di questo modo di preparare la pasta. Porto in tavola direttamente il wok e metto nei piatti, spolverando con altro parmigiano a piacere.
Ci si beve di tutto, ma vista l’importanza e la complessità dei sapori io ci vedo bene un chianti Gallo Nero non vecchio, ma austero quanto basta per sottolineare ed esaltare il piatto, senza conflitti di gusto. Vincenzone, dovunque tu sia, sappi che ti dobbiamo tanto. Alla tua!