In questi giorni il tormentone è: il grande sconfitto delle primarie è Giuliano Pisapia. In realtà, visto che come ha scritto Alessandro Gilioli “ha vinto Sala perché il centrosinistra non c’è più”, le cose non stanno esattamente così. Pisapia ha fatto quello che poteva e soprattutto doveva. Sconfitti veri sono i milanesi, trasformati in comparse di una rappresentazione paternalistica e – se si riconosce loro un briciolo di intelligenza – tutto sommato inutile. Bastava dire le cose come stanno, qualcuno avrebbe starnazzato un po’ su Facebook e morta lì. Sintetizzo la mia lettura dei fatti di questi giorni, consapevole che piacerà a pochi. Ma ci sono abituato.
Nel 2010 la sinistra era un accrocchio allo sbando, oggi – piaccia o no – c’è un leader. Impensabile che un leader lasci la maggiore azienda italiana (Milano) nelle mani di una maggioranza in parte avversa alla sua.
A Giuliano Pisapia – che ha un forte senso unitario e istituzionale – questa situazione è chiarissima. Non si è ricandidato perché la coalizione che l’avrebbe sostenuto sarebbe stata parzialmente “non-renziana”, quindi ha ritenuto di non porsi come elemento di divisione. In tutta la storia di questi cinque anni, primarie incluse, resta la figura più positiva. Prendi nota di questa affermazione: lo rimpiangeremo.
La candidatura di Francesca Balzani va letta in questa linea. Mettendola in campo Giuliano Pisapia ha voluto contribuire all’evento rendendo un doveroso e inoffensivo omaggio ai suoi sostenitori e alla sua parte politica. I sondaggi veri non lasciano dubbi: anche senza Majorino la vittoria di Balzani sarebbe stata quasi impossibile, perché il PD di oggi non è quello del 2010 e Renzi non avrebbe consentito un fallimento. NB: Balzani ha fatto la sua parte, contribuendo a rendere improponibile il piccolo rischio di una sintesi con Majorino.
Pierfrancesco Majorino è un politico di professione e ha messo in atto un progetto politico mirato esclusivamente alla propria carriera. Lo ammette lui stesso definendo il suo risultato “superiore alle aspettative”: uno che corre per meno del 20% agitando quei temi non vuole diventare sindaco, non vuole unirsi a chicchessia, ma vuole farsi vedere molto per costruire un consenso popolare da spendere successivamente. Staremo a vedere se avrà la cultura a Milano o se farà il salto direttamente a Roma o Bruxelles. Colpevole di queste distorsioni non è lui, ma il meccanismo che consente di trasformare in professione a vita ciò che dovrebbe essere un impegno civico breve e a termine. Va tutto bene purché si eviti di tirare in ballo la “passione politica”.
Giuseppe Sala è un emissario, un tecnico facilitatore che non porrà ostacoli all’azione del governo, come non ne ha posti gestendo Expo. Potrà operare sereno anche grazie a scorciatoie e immunità garantite da Roma, come già è successo con Expo. La gestione di Milano sarà allineata alla gestione del Paese, quindi probabilmente l’attenzione sarà posta più sullo sviluppo che su sociale e ambiente.
In sintesi: se in questi cinque anni ci fosse stata davvero quella “rivoluzione arancione” auspicata con i ridicoli (e mai attuati) referendum propositivi ci sarebbe da stracciarsi le vesti. In realtà quel che resta davvero a Milano è il ricordo di un sindaco garbato e sorridente come non se ne vedevano da decenni. Il resto è il frutto di eventi che lo precedono e lo sorpasseranno in assoluto relax. Facciamocene una ragione.
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