Il fatto che gli esponenti della Comunità ebraica milanese (tra cui alcuni sinceri democratici che conosco e stimo) ammettano in prima fila Stefano Parisi dovrebbe inquietare qualunque elettore di centrosinistra. Vuol dire che la faccia tutto sommato perbene di Parisi riesce a far dimenticare i suoi alleati: non solo Berlusconi e Salvini, ma anche i discendenti degli alleati di Hitler come Ignazio La Russa e Riccardo De Corato. Insomma Parisi sta lavorando benissimo e non è un caso se i sondaggi lo danno in fase di sorpasso su Sala. A questo punto il centrosinistra dovrebbe fare un serissimo esame di coscienza e domandarsi se ha senso continuare con l’attuale strategia schizofrenica, che va da “ora e sempre Resistenza” alle genuflessioni a CL, con la ciliegina dell’inopportuna perdita di controllo contro i cosiddetti antagonisti del Giambellino (NB guardare il video del Corriere per capire chi fossero nella realtà quelle poche persone) che certamente non gioverà a Sala.
Il problema del centrosinistra è significativo: Giuseppe Sala non è Giuliano Pisapia (come lui stesso ha tenuto a precisare) e proprio per questo oggi gli manca una dose significativa di consenso nelle fasce sociali più difficili che decidendo di votare nel 2011 fecero la differenza.
C’è un mondo là fuori che va da Gianni Barbacetto a Basilio Rizzo passando per Nando Dalla Chiesa e Vittorio Agnoletto attraverso il movimentismo. Un mondo che si è sentito tradito, pronto a non votare Sala neppure al ballottaggio, per ripicca. Saranno pochi, saranno obsoleti, saranno ideologici, ma sono comunque milanesi di sinistra il cui voto in un testa a testa potrebbe fare la differenza. Questo è oggi più importante, perché a differenza di Letizia Moratti nel 2011, oggi Stefano Parisi sta facendo benissimo (lo si vede giorno per giorno) e la coalizione che lo sostiene ha capito il valore di mostrarsi serena, determinata e coesa a differenza di quella avversaria, sempre più litigiosa e raccogliticcia.
Se Giuseppe Sala è la persona intelligente che ci dicono essere
- metta da parte il quell’aplomb (detto anche “spocchia”, per essere più chiari) da manager intoccabile,
- lasci stare il saluto col pugno chiuso (che peraltro esegue malissimo) e altre avvilenti uscite da uomo “di sinistra”, che gli ridono dietro,
- mandi nelle retrovie alcuni suoi bracci sinistri e destri sgradevoli, sgraditi o consunti,
- si renda autonomo dai professionisti della sconfitta politica, funzionari dei partiti attenti solo alla propria carriera,
- lasci spazio alle facce nuove, sane, motivate anche e soprattutto in fase di definizione delle liste,
- si prepari a dichiarare la squadra, soprattutto per tranquillizzare chi non voterà per la giunta ipotetica che alcune foto di gruppo della prima ora hanno indotto a pensare,
- cominci a sporcarsi le mani nei quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi, già impegnato com’è a scaldare la gente di altri paraggi.
Questo. Alle persone normali fuori da Palazzo – non offuscate dall’adrenalina come i politici di professione, renitenti per propria natura a qualunque autocritica – basta poco per capire gli eventi con chiarezza. Non è un bel vedere: sembra di essere capitati nel cinema di periferia in cui danno “Bruno Ferrante 2 – il ritorno”, sequel di un brutto film ancora non digerito del tutto.
PS: se poi la si piantasse con la menata che “Pisapia ha sbagliato tutto” sarebbe una gran cosa.