In un post sul mio wall Facebook ho condiviso un articolo da Uomini e Busoness in cui Giuseppe Turani commenta la frase pronunciata da Pierluigi Bersani a Campobasso secondo cui M5S potrebbe essere un interlocutore di “Democratici e progressisti”, lasciando intendere l’ipotesi di una maggioranza formata dal movimento di Grillo sostenuto dagli scissionisti del PD.
Poi ho commentato che Bersani è “uno su cui non varrebbe neppure la pena di perdere del tempo a fare una battuta. Il rudere triste e mediocre di una generazione triste, mediocre e trombona.”
Risposta diffusa: “sì ma allora Renzi?” (tutto il mondo è Paese, quegli altri dicono “sì, ma le foibe?”), in genere aggiungendo “almeno Bersani è un buon politico perché è onesto”.
Questo dell’onestà è un tema davvero inquietante per due ragioni talmente ovvie che non possono non essere chiare perfino a un Bersani:
- l’onestà non porta con sé tutte le altre qualità necessarie al buon politico, anzi a volte un buon politico deve essere un po’ disonesto per riuscire a far bene: un onesto stupido farà più danno di un onesto intelligente (cfr. Niccolò Machiavelli e Carlo Cipolla).
- Dividere il mondo in onesti e disonesti è una semplificazione becera e populista (non a caso è il cavallo di battaglia di Grillo & C.), pericolosa per la democrazia perché sposta gli equilibri tra i poteri.
Pierluigi Bersani (assieme al suo ideologo “molto intelligente” e i suoi compari) è uscito dal PD anziché fare opposizione interna, conquistare consenso e tornare a guidarlo, come si usa in ogni democrazia. Sggerisce quindi l’idea che l’obiettivo vero sia ritornare alla ribalta, riprendere le poltrone, anche al prezzo salatissimo di sparigliare il centrosinistra e consegnare il Paese a un movimento antieuropeista, fascistoide e cafone.
Quindi: Bersani non avrà rubato per se stesso, ma questa sua azione è quanto di più politicamente disonesto si possa immaginare. Che è peggio di rubare, perché crea le condizioni per far correre al Paese (e forse all’intera Europa) un rischio gravissimo.