Gualtiero Marchesi non era simpatico. L’ho incontrato in una vita precedente e lo consideravo uno degli chef umanamente più sgradevoli tra i tanti conosciuti nelle mie antiche peregrinazioni per ristoranti: anni luce dalle isteriche e insopportabili chefstar televisive di oggi, sia chiaro, ma certo non più simpatico dei suoi antipatici contemporanei Aimo e Vissani.
Però sono convinto che a Marchesi vada riconosciuto un ruolo determinante, quello di principale artefice della ripartenza della cucina italiana, che a fine secolo scorso giaceva svaccata e annoiata a citarsi e imitarsi su ricette regionali, con la quantità come unico valore riconosciuto e condiviso.
Per questo ho letto con gran piacere (e un briciolo di commozione) quanto Federico Maria Sardelli ha dedicato al grande chef scomparso oggi. Musicista sopraffino, letterato, fine umorista e gourmet, il maestro Sardelli ha scritto sul suo Facebook un pensiero di tale bellezza che qualunque morto celebre – non solo chef – dovrebbe rotolarsi nel sepolcro per l’invidia.
“Alcune sue scelte o trovate sono datate, talvolta odiose: Marchesi non era simpatico, va detto. Il suo risotto all’oro è più acchiappacitrulli che cibo, la sua rivisitazione del fegato alla veneziana poteva esserci evitata. Ma dietro a ogni sua idea c’è un fine ragionamento, un amore per le cose e tanta, tanta cultura. Di fronte a lui, al suo metodo rigoroso, il circo mediatico dei moderni cracchi e cannavacciuoli assume lo stesso rilievo che ha il Bagaglino se comparato a Strehler.” (continua)
Che la terra gli sia lieve, proprio come la foglia d’oro “acchiappacitrulli” che piazzava sul risotto.