“Starbucks a Milano: 1200 persone in coda all’inaugurazione. Benissimo! Che fotografino e condividano sui social, è buona visibilità per la città. Ne sono orgoglioso. Su tutti i giornali del mondo viene considerato lo Starbucks più bello in assoluto. Il palazzo delle Poste – bellissimo ma fatiscente – ripulito è tornato al suo splendore. E Milano è di nuovo al centro dell’attenzione internazionale, perché una potente multinazionale ha scelto noi per il suo fiore all’occhiello.
Altro turismo, altri posti di lavoro, altre risorse e opportunità. Evviva Milano e chi investe sulla nostra città, quindi evviva anche Starbucks Italia.”
In questo lungo thread su Facebook ho espresso la mia opinione sulla festona di inaugurazione di Starbucks a Milano e sulle “radici” della mia città. Tra tanti commenti (e tanto rumore) questo esprime bene il mio pensiero.
“…. la comunicazione “fascista” (un estremismo per definire la Lega, ma ci sta l’aggettivo visto chi ha insegnato loro quei metodi) è riuscita a montare il concetto di “radici” (loro ci aggiungono anche “cristiane”, a me dà troppo fastidio) a tal punto da contaminare tutti. Non a caso è entrato nell’uso anche di insospettabili, noti e colti (la comunicazione funziona perbacco, mica ci si deve sentire dei fessi se funziona su di noi).
Ma quel concetto di “radici” è senza significato qui, perché una grande città come Milano, con la sua collocazione geografica e il suo passato, non ha né può avere *quel tipo* di radici. Ce lo insegna la storia: Milano è come Hong Kong o New York, metropoli di frontiera e integrazione, destinate a essere hub di civiltà, luoghi di sincretismo.
Duomo, Brera e Cenacolo sono una parte degli asset di questo destino, preziosissimi e caratterizzanti ai fini storico-culturali, ma non a quelli evolutivi. Giusto e doveroso custodirli, ma non sta lì il futuro.
PS: il discorso vale per chi crede nel modello liberal-occidentale, ovviamente i sostenitori della “decrescita felice” non saranno d’accordo, ma a quel punto la loro azione critica dovrebbe focalizzarsi sul modello politico globale, non su eventi che ne sono una marginale conseguenza.”