Un “oi-tzuki” tirato a settembre 1971 segna l’inizio dei miei primi cinquant’anni marziali. La lezione di karate Shotokan dell’esordio ebbe luogo nella palestra Kenyukai di Milano, in un gruppo messo assieme dall’amico Vittorio, il quale “faceva karate” (per favore: “ká-rá-té”, non “karàte”, tipo Carate Brianza) da un paio d’anni e aveva deciso di insegnarcelo.
Dopo qualche mese il gruppo si sciolse, ma io continuai col karate fino a conseguire la “cintura nera” (che all’epoca non era inflazionata come oggi) nel 1975. Ma proprio in quell’anno, qualche settimana dopo il mio esame di “primo dan”, la direzione tecnica Kenyukai decise di lasciare lo Shotokan e passare al metodo Sankukai di Yoshinao Nambu, appena comparso sulla scena. Mi accorsi subito che il Sankukai non faceva per me (in realtà non faceva per nessuno, infatti scomparirà con il suo agile fondatore) e decisi di restare fedele allo Shotokan, spostandomi in un’alta nota palestre milanese.
Ma l’anno successivo, mentre preparavo l’esame a “secondo dan”, conobbi Ben, un giovane cinese che studiava design allo IED di Milano. Diventammo amici e, tra una ciotola di riso cinese e una pastasciutta italiana, Ben mi parlò del “kung fu” che praticava al suo paese, l’Hung Kuen di Chan Hon Chung, che lui descriveva come “il più grande maestro vivente” di quello stile e non solo. Aveva ragione.
All’epoca in Italia si sapeva poco o nulla di arti marziali cinesi, al di là di qualche film di Hong Kong. Ma io, grazie alla famiglia negli Stati Uniti, avevo avuto l’opportunità di scoprire qualche cosa in più su Black Belt e altre riviste di settore che da noi non arrivavano. E comunque mi bastò osservare l’amico Ben mentre eseguiva la prima forma della “famiglia Hung”, il “Mui Fa Kuen”, per capire che quella era roba buona. Mollai la palestra di karate, le cinture, gli esami e chiesi a Ben di insegnarmi quello che sapeva. Il 15 settembre 1976, esattamente 45 anni fa, assunsi per la prima volta la posizione “sei ping mah” dello stile Hung Kuen.
Cos’è un’arte marziale? Se uno lo chiedesse a mille praticanti riceverebbe mille risposte diverse, le arti marziali sono una tale Babilonia di sfumature e opinioni da rendere difficile un inquadramento. Io stesso, nonostante il mio mezzo secolo di pratica, ancora non so darmi una risposta esauriente. Però una cosa almeno l’ho capita: tutte le arti marziali possono essere circoscritte in due macroinsiemi, uno basato su preparazione atletica e condizionamento fisico, l’altro su percezione del corpo e delle leggi della fisica che governano ogni movimento dell’uomo. A questo secondo insieme appartiene anche l’Hung Kuen del maestro Chan Hon Chung, quel meraviglioso impianto di gesti ed emozioni che grazie a Ben ho cominciato a studiare 45 anni fa e che ancora oggi fa parte del mio quotidiano.
A inizio 1977 Ben mi aveva insegnato tutto quello che sapeva dell’Hung Kuen, ma io non mi accontentavo, volevo saperne di più e riuscii a convincerlo ad accompagnarmi all’origine. Nell’agosto 1977 cominciò la mia avventura di pendolare tra Milano e Hong Kong, destinata a durare quasi vent’anni. Dopo un volo interminabile e un’immersione nell’odore penetrante di curry della Chungking Mansion, ebbi accesso ala serenità laboriosa dell’Hon Chung Gymnasium al 729 di Nathan Road.
L’incontro con il maestro Chan Hon Chung fu di quelli che lasciano il segno. Dolce e forte al contempo, era un uomo dotato di un enorme carisma. Il suo Hung Kuen mi mostrò un punto di vista nuovo sulle arti marziali, aprendo la finestra su un mondo in cui la bellezza del gesto tecnico (caratteristica intrinseca di ogni buona arte marziale tradizionale) non prescindeva mai da realismo ed efficacia. Accantonai in un istante il karate Shotokan che tanto mi aveva appassionato e iniziai un percorso di pratica dell’Hung Kuen che mi portò a tornare a Hong Kong ogni anno, anche più volte all’anno, e trascorrervi tutto il mio tempo libero per approfondire la mia conoscenza dell’Hung Kuen. La grande simpatia che il maestro Chan dimostrò sempre nei mie confronti, coinvolgendomi anche nei suoi impegni extra-marziali, mi ripagava ampiamente degli sforzi fisici ed economici che dovevo sostenere.
Dopo la triste fine dell’Hon Chung Gymnasium e la morte del maestro Chan continuai per vari anni con i miei fratelli maggiori, Cheung Yee Keung e Kong Pui Wai, perfezionando e completando il mio bagaglio di conoscenza dell’arte di Wong fei Hung, Lam Sai Wing e Chan Hon Chung. Non ho mai smesso e ancora oggi l’Hung Kuen è un prezioso compagno di vita, in cui trovo ogni giorno qualcosa di nuovo da scoprire e da capire, nonostante questi cinquant’anni marziali che ho sulla schiena, ma di cui non ho mai sentito e non sento il peso.
E allora auguri a me per i prossimi cinquant’anni marziali.