La storia della pasta alla carbonara è incerta, ma tutto sommato giovane: non esistono libri di cucina di età superiore al mezzo secolo che citino una pasta condita con uova, pecorino e carne di maiale soffritta. I più audaci fanno risalire la carbonara alla Liberazione, quando la gran fame e la mancanza di materie prime nobili spingeva a condire la pasta con qualunque cosa, tra cui uova in polvere e bacon dalle razioni delle truppe americane.
Comunque sia, benché la pasta alla carbonara sia oggi un piatto proposto ovunque, discusso e rimaneggiato (spesso con insopportabile spocchia), io cerco di farlo restando fedele alla mia interpretazione di “gricia arricchita”, quindi un piatto basato sul connubio dei sapori di uovo e formaggio col guanciale, il cui grasso è elemento fondamentale per la buona riuscita del piatto.
La ricetta che segue è stata pubblicata in origine nel 2016, ma è stata sottoposta a costanti aggiornamenti indotti da esperienza ed esperimenti, soprattutto per quanto riguarda la gestione del guanciale e l’uso del grasso. Spadellando si impara no?
Ingredienti per quattro persone: 400 grammi di bucatini (ma se sei romano puoi fare anche 800, l’importante è che adegui le quantità degli altri ingredienti), pecorino romano non troppo salato, parmigiano reggiano 24 mesi, tre etti di guanciale di qualità (io compro quello di Re Norcino), pepe nero, quattro uova tolte dal frigo qualche ora prima perché non siano fredde. Potrebbe servire un quarto di litro di vino bianco per sfumare il guanciale, ma se usi quello di Re Norcino o un altro altrettanto buono non ce n’è bisogno.
Io procedo così:
- metto a bollire una grande pentola d’acqua
- preparo il guanciale come spiego in questo post dedicato (dove anche si esplora l’eterna diatriba guanciale vs. pancetta) tenendo da parte il grasso accanto alla pentola che bolle, perché resti caldo e liquido
- butto la pasta
- grattugio una buona dose di pecorino romano e il parmigiano (quanto? boh, va a gusti, comunque per quattro persone voglio vedere la fondina in cui si raccoglie ben piena)
- grattugio il pepe nero (se ho voglia lo tosto e lo pesto a mortaio, ma è una menata da nerd dei fornelli che in realtà IMO cambia pochissimo il profumo)
- metto in una terrina non fredda un uovo completo più tre tuorli, il pecorino, il pepe e 2-3 cucchiai di grasso del guanciale. Mescolo bene con la frusta fino a ottenere una crema appena appena fluida. Se occorre regolo la densità con pochissima acqua di cottura, ma qui invito alla cautela: l’acqua di cottura si può aggiungere, ma non togliere, quindi parsimonia, mezzo cucchiaio per volta, non di più. Alcuni compiono questa operazione sopra la pentola che bolle, altri fanno alchimie caldo-freddo, ma secondo me è tutto inutile.
Quando la pasta è molto al dente, con ancora un’idea di cuore duro:
- riaccendo l’induzione a calore medio (7 su 10) sotto il wok e ci verso 3-4 cucchiai di grasso del guanciale
- pesco la pasta col ramaiolo un paio di minuti prima del tempo giusto e la passo nel wok senza scrollarla troppo e spadello con vigore per completare la cottura, eventualmente aggiungendo poca acqua di cottura
- quando la pasta è ben mantecata spengo l’induzione e aspetto perché la temperatura scenda qualche grado, l’ideale è che arrivi sotto i 70°
- ultimo colpo di frusta al composto di uova, pepe e formaggio e poi lo verso sulla pasta, prima mescolo col cucchiaio di legno, poi spadello vigorosamente, eventualmente regolando con altra acqua per migliorare la mantecatura (sempre pochissima per volta, perché è impossibile toglierla se si esagera e comunque odio le carbonare in stile Instagram con sbrodolate di crema gialla)
- unisco il guanciale croccante con un’ultima spadellata
- porto il wok in tavola, dove non deve mancare la grattugia Microplane per una aggiunta di parmigiano o pecorino sul piatto, perché come diceva mio padre Luigi Biraghi «il formaggio che c’è già dentro non conta»
- servo col le pinze perché odio gli spaghetti fatti su a nido di quaglia.
Ci bevo un buon vino, trovo particolarmente adatto il Cesanese del Piglio, coi suoi sapori minerali, che oltretutto è in carattere dal punto di vista geografico.
Chiudo con la segnalazione di questo articolo che sfata alcuni miti sulla carbonara e con i dieci comandamenti che la riguardano, ovviamente in romanesco.
1. Devi usà er guanciale. Si volevamo er bacon annavamo in America.
2. Niente parmigiano, solo pecorino. Chi dice metà e metà c’ha quarcosa da nasconne.
3. Nun coce l’ovo. Mejo n’infezione che ‘na frittata.
4. Niente ajo e niente cipolla, nun stai a fa’ er ragù.
5. Né ojo, né buro, né strutto. Hai da fa’ spurgá er guanciale.
6. Niente peperoncino. In Calabria ce vai st’estate.
7. Non usare altre spezie al di fuori der pepe. Si nun te sta bene vai a cena dall’indiano.
8. Chi ce mette ‘a panna dovrebbe annà in galera.
9. Nun dì mai “carbonara” e “vegana” nella stessa frase.
10. Tonnarelli, spaghetti, bucatini, rigatoni. Va bene tutto, basta che nun fai scoce ‘a pasta.