La vita di Sandro Pertini – prima parte

Sandro Pertini a Ventotene

«Vorrei tratteggiare la vita di questo padre della Repubblica, uomo straordinario, politico raffinato, avventuriero, forte e sensibile, audace e raffinato: un simbolo di lotta e democrazia.» Uno scritto prezioso che merita di non diluirsi nell’oceano di un social. È la vita si Sandro Pertini, racontata dall’intellettuale che si presenta su Bluesky con lo pseudonimo dannunziano di Andrea Sperelli. Questa è la prima parte, dedicata alla libertà e alle lotte per le istituzioni democratiche.

Alessandro Pertini nasce nel 1896 presso il Comune di Stella sito nell’aspro entroterra savonese, ruvido e selvaggio come come il suo carattere. I giovani che nascevano allora da quelle parti avevano il destino segnato, un’orizzonte di vita antica e semplice ma il giovane Sandro non è tagliato per quella vita. Studia e si laurea in Giurisprudenza e Scienze Politiche. Durante la Prima Grande Guerra Mondiale, come laureato, è ufficiale combattente al fronte. Appena torna a casa, nel 1918, si iscrive al Partito Socialista, allora divorato dalla contrapposizione dei massimalisti contro i riformisti. Giovane militante, partecipa alla vita delle sezioni, schierandosi con Turati, Treves e Matteotti che lo prendono subito in simpatia per la sua schiettezza ed efficacia oratoria. Il salto nella vita politica attiva avviene col delitto Matteotti. Egli non dubita mai che sia stato ordinato da Mussolini. Nel quadro di un Fascismo che prende il potere in Italia anche a causa dell’ignavia politica, inizia l’attività clandestina nei partiti anti-fascisti. Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini fondano un foglio clandestino dal titolo “Non mollare”. Sandro Pertini non resta inane e contribuisce diffondendo un volantino contro il regime dal titolo “Sotto il barbaro dominio fascista”, in cui denuncia le responsabilità di Mussolini nel delitto Matteotti, spedendolo in forma anonima a molti mittenti presi dall’elenco telefonico. Una spiata ai carabinieri di Stella, porta alla perquisizione del suo domicilio dalla quale emergono sia lettere pronte da spedire, che mazzi di copie dello stampato. Immediato l’arresto: sarà il primo dei sei della sua vita (con due evasioni).
Pertini ha 29 anni, è avvocato, e risiede a Savona. Al processo mette in luce la sua autorevolezza, ed il forte carattere. Con generosità e coraggio rivendica interamente i reati commessi, che egli però non ritiene tali; attestando che “qualunque sia la condanna che sarà emessa nei miei confronti, continuerò la mia battaglia anti-fascista”. Lo condannano ad 8 mesi di reclusione. Dopo, però, la corte di appello di Genova lo assolve per subentrata amnistia dei reati commessi.
Pertini è nuovamente libero e ne approfitta per un’altra azione sovversiva. L’intenzione è di apporre una corona di alloro di fronte alla lapide cementata sul muro dell’antica fortezza di Savona, che ricorda la detenzione di Giuseppe Mazzini, in occasione del primo anniversario del delitto Matteotti. L’azione riesce ma la polizia ci mette poco a capire chi sia stato. Senza prove, non potendolo imputare di nulla, viene ordinato di impartire al giovane avvocato socialista una “Lezione” attraverso bastone ed olio di ricino.
Dopo l’attentato di Zamboni a Mussolini Sandro Pertini, considerato “pericoloso per l’ordine pubblico” dal tribunale di Genova, viene condannato a cinque anni di confino
Per evitarlo fugge da Savona, raggiunge Milano, ospitato in casa da Carlo Rosselli. Qui i due escogitano un piano far evadere dagli arresti domiciliari Filippo Turati facendolo riparare da Savona in Francia, paese dove stavano cominciando ad affluire i fuggitivi anti-fascisti. Fingendo una gita da Savona alle Cinque Terre, una motobarca pilotata da pescatori socialisti porta Pertini, Turati, Rosselli e Parri nel porto di Calvi. Sono tutti salvi in Corsica. Poi, i compagni corsi, col battello postale lo fanno partire per Nizza, insieme a Sandro Pertini suo accompagnatore. La prefettura di Savona riferirà al Ministero dell’Interno: “L’avvocato Pertini Alessandro è espatriato via mare insieme all’ex-deputato Filippo Turati, per la Francia. Abbiamo disposto per il suo immediato arresto qualora dovesse rientrare in Italia avendo in sospeso la condanna a cinque anni di confino”.
Separatosi da Turati , nonostante il forte rischio, vuole rientrare clandestinamente in Italia. Passati poco più di due anni, nel 1929, è preso dalla nostalgia della sua “piccola Savona” dove sente il richiamo della lotta clandestina coi compagni. Il continuo pericolo lo fa “sentire vivo”, utile alla causa, e decide di tentare. Per depistare gli informatori, mette in giro voci di spostamento a Ginevra o Parigi, ma l’azione non riesce. La polizia italiana sa del suo rientro ed il 14 aprile 1929 lo arresta.
Il “Tribunale Speciale per la difesa dello Stato” lo interroga ed ai giudici risponde: “Ammetto pienamente i reati ascrittimi dei quali ne assumo ogni responsabilità. Mi rifiuto di rispondere ad ogni ulteriore domanda”. È condannato a 10 anni e 9 mesi di carcere; l’interdizione perpetua dai pubblici uffici; 3 anni di vigilanza speciale, ed il pagamento delle spese processuali. Resta, in addendum, il confino non scontato dopo la fuga da Savona a Milano.
Sandro Pertini viene inviato sullo “Scoglio di Santo Stefano” a scontare la pena in una cella di isolamento. Un trattamento eccezionale nella sua crudeltà per dei reati politici. Difatti, appena i compagni francesi, Turati e Rosselli, lo vengono a sapere muovono personalità estere in suo favore, riuscendo a farlo trasferire nel carcere di Turi il dicembre del 1931. Nella cella di Turi, unico socialista in una camerata di comunisti, incontra Antonio Gramsci.
I rapporti tra i due partiti sono molto aspri dopo che lo stalinismo trionfante nell’URSS ha lanciato la linea del “social-fascismo”. Anche i comunisti italiani additano i socialisti come traditori e nemici del popolo. Gramsci istintivamente non sfugge alla propaganda; conversando esprime con Pertini considerazioni malevoli verso i dirigenti socialisti. Critica con giudizi negativi Turati e Treves che sono in esilio. Sandro non accetta parole che reputa offensive anche al suo onore; adirato reagisce con forza. Gramsci medita i termini dell’accesa discussione ed il giorno seguente gli chiede scusa, confessandosi amareggiato. Confessa anche le incomprensioni dei suoi compagni che vogliono ricalcare pedissequamente la politica sovietica, di cui egli si dice non convinto.
Il 29 marzo 1932, in esilio a Parigi, muore Filippo Turati. Sandro legge la notizia dal quotidiano genovese “Il Lavoro” piangendo a dirotto. Nello stesso anno da Turi Sandro Pertini viene trasferito nel carcere di Pianosa. Lì viene a sapere che sua madre ha inoltrato per lui domanda di grazia a Benito Mussolini. Caratterialmente il Duce era molto sensibile agli “atti di sottomissione” dei suoi oppositori; certamente la domanda, se controfirmata, avrebbe avuto esito positivo. Ma Pertini non era affatto disposto a sottomettersi. Manda a dire a sua madre: “Non ti puoi immaginare il male che mi hai fatto e il dolore che mi hai dato”. Pertanto l’istanza non viene accolta.
Il 10 settembre 1934 è nuovamente trasferito dal penitenziario di Pianosa. Sandro Pertini arriva a Ponza, accompagnato dalla segnalazione che “sia vigilato in modo speciale”.
Anche a Ponza Pertini incontra difficoltà. Il personale carcerario lo ritiene “Provocatorio, polemico e di modi arroganti».
Sandro PertiniAccusato di oltraggio e resistenza è nuovamente arrestato il 5 maggio 1937. Da Ponza è tradotto nel carcere di Poggio Reale a Napoli. Processato, è però assolto perché il fatto ascritto non costituisce reato, mentre le altre imputazioni cadono per insufficienza di prove. Tornando a Ponza viene a sapere che Carlo e Nello Rosselli sono stati assassinati. In questo quadro Pertini viene trasferito al confino di Tremiti. È il 17 luglio 1939. Nell’isola dell’Adriatico Sandro non ci andrà mai. Annuncia lo sciopero della fame; chiede di essere destinato a Ventotene, che ricorda oltre il braccio di mare a Santo Stefano. La richiesta viene dal sapere che nell’isola sono riuniti quasi tutti gli anti-fascisti italiani, a cui si aggiungeranno, dopo il 1940 (caduta della Francia e avvento del governo collaborazionista di Pétain), i transfughi riparati in esilio.
A Ventotene vive l’esilio tra le notizie della guerra incorso e degli stravolgimenti che seguiranno a breve.
Il 25 Luglio 1943 Mussolini viene sfiduciato. Sandro Pertini, dal mattino stesso, nota che la sorveglianza è saltata. Un gruppo di confinati (tra cui Pietro Secchia, Mauro, Scocciammo, Altiero Spinelli, Sandro Pertini) forma un comitato politico; prende in mano la situazione dettando norme di comportamento a chi prima comandava. Molti confinati, a scaglioni, arbitrariamente non sussistendo ordine alcuno, evacuano l’isola per tornare a casa. Il carattere integerrimo dell’uomo Pertini emerge ancora una volta: non vuole lasciare da fuggitivo l’isola, ma una liberazione ufficiale con tanto di carta bollata. Che arriva in agosto con ordine telegrafico. Pertini non torna a Savona. Si ferma a Roma ed insieme a Bruno Buozzi ottiene la liberazione di tutti i prigionieri. Nella capitale incontra Pietro Nenni e Giuseppe Saragat; con loro forma il primo gruppo dirigenziale del rinato Partito Socialista di Unità Proletaria.
Tutti hanno chiaro che la guerra continuerà e la prima azione su cui si dovrà muovere il partito è quella militare. A Roma si forma il primo embrione del futuro Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) tra i risorti partiti. Le persone su cui si regge la commissione interpartito si chiamano Riccardo Bauer per il Partito d’Azione, Luigi Longo per il Partito Comunista, Sandro Pertini per il Partito Socialista.
Sopravvenuto l’8 settembre, con la disintegrazione dell’esercito italiano e la fuga del Re, inizia la “resistenza”. Una guerra civile più che di liberazione. Per i comunisti è l’inizio della “rivoluzione proletaria”. Per i “badogliani” un aiuto militare al governo del Sud. Per i partiti laici (repubblicani, liberali Partito d’Azione), socialista e cattolico un mezzo per costruire la nuova libera democrazia italiana. Palmiro Togliatti rientrando in Italia sbarca a Salerno. Porta da Mosca le direttive di Stalin: niente rivoluzione. Nel Partito Comunista Italiano restano però ali rivoluzionarie (Pietro Secchia) che non rinunceranno ad attuare il progetto.
Il 10 settembre Pertini è a Porta San Paolo ove si tenta la prima azione di contrasto ai soldati tedeschi cercando di impedir loro l’ingresso in Roma. La città è occupata da Tedeschi e le Brigate Nere ricostituite dalla Repubblica Sociale Italiana. Pertini torna alla clandestinità sotto falso nome reclutando uomini per organizzare le prime formazioni partigiane. Nel pomeriggio del 23 ottobre 1943 è arrestato insieme a Giuseppe Saragat. Bernasconi, questore di Roma, lo trattiene seduto nel suo ufficio su una sedia per interrogarlo tutto il giorno e la notte. Vuole sapere dove si trova Nenni e gli altri compagni: “Fucilatemi, tanto da me non lo saprete mai” risponde ogni volta. Il comandante tedesco delle SS Dollman liquida Bernasconi prendendogli il prigioniero per internarlo a Regina Coeli, dove già sta Giuseppe Saragat. Dollman, constatata l’inutilità degli interrogatori, senza processo condanna i due a morte, passandoli dal sesto al terzo braccio detto “della morte”.
Pietro Nenni deve la libertà ai due compagni che non hanno ceduto a costo della loro morte. Deve fare qualcosa, non si rassegna a lasciarli in mani naziste. Il partito organizza la loro evasione. Predisposti falsi documenti di scarcerazione, alcuni compagni in divisa fascista li prelevano da Regina Coeli e li portano nella caserma della polizia di Trastevere dove il comandante, compiacente, li prende in carico e la notte stessa li fa fuggire.
Alla metà del febbraio 1944 a Roma liberata ferve la politica. La battaglia vera, quella a cui Pertini è portato, si svolge al Nord. Chiede a Nenni di raggiungere Milano. Nella città manca un autorevole capo socialista dopo che nelle file del partito sono avvenuti molti arresti tra i compagni, ed altri hanno dovuto riparare in Svizzera. Perciò, a fine maggio 1944, Pertini viaggiando in auto per strade secondarie guadagna la città dove subito prende posto al tavolo del CLNAI (Comitato di Liberazione Alta Italia) in rappresentanza del Partito Socialista di Unità Proletaria. Nenni però lo richiama a Roma ed egli come un soldato lo esaudisce. Nuovo difficile viaggio nel Paese disastrato. Deve raggiungere Fiumicino in motobarca da Genova, in compagnia di Edgardo Sogno. È in ritardo all’appuntamento; questi non lo attende e parte da solo. Allora Pertini prosegue su un’auto di fortuna, ma a Prato durante un rastrellamento tedesco l’autista lo molla e torna indietro. Così egli raggiunge Firenze a piedi, dove incontra Gaetano Pieraccini che prepara l’insurrezione della città.
Liberata Firenze, ha la strada spianata per tornare a Roma. Nenni lo vuole accanto a sé come fiduciario delle incombenze politiche nella nuova democrazia italiana. Ma lui, finché dura la guerra, si sente insofferente alla normalità. Vuole tornare al Nord dove ancora si combatte. A Milano è più necessario che a Roma.
Insieme ad Artiero Spinelli va in aereo nella Francia liberata dai gollisti. Atterra a Lione. In auto raggiunge Chamonix. Da qui, come fosse un alpinista provetto, attraversa il Monte Bianco, pernottando al rifugio Torino con le guide. Il giorno dopo tutti scendono a Courmayeur, da qui ad Entréves. Pertini e Spinelli si mettono da soli in marcia. Pernottato ancora in un maso di montagna, raggiungono Cogne. Il paese è in mano ai partigiani ma contemporaneamente all’arrivo del gruppo dall’alto, salgono dal basso colonne di Tedeschi in rastrellamento per rioccupare la località. Pertini combatte coi partigiani fino all’ordine della ritirata. Allora schivando pattuglie e posti di blocco tedeschi, mentre i partigiani puntano sulla Svizzera, egli ed Altiero calano verso Aosta, la aggirano, e marciano fino ad Ivrea.
L’impulso di raggiungere Milano da parte di Sandro Pertini ha un elemento ben preciso: “I socialisti non devono lasciare nelle mani dei comunisti l’egemonia politica e organizzativa sul movimento partigiano”. Sandro arriva a Milano alla fine di ottobre del 1944. Intanto lì, il 29 marzo, era stato costituito il comitato per dirigere la rivolta in città. Leo Valiani (Giustizia e Libertà), Sandro Pertini e Emilio Sereni per i social-comunisti che erano legati dal patto di unità d’azione contratto nell’esilio francese da Pietro Nenni ne sono i capi. Non tutti erano d’accordo sull’insurrezione, saranno i comunisti a forzare la mano ordinando alle brigate Garibaldi di passare all’azione in violazione degli ordini alleati. Ma a partire per primi sono i partigiani cattolici del Corpo Volontari della Libertà che agli inizi di aprile liberano Alba, occupano la Val Pellice e la provincia di Pinerolo. Le strade tra Asti, Torino e Alessandria sono bloccate. A Torino i grandi scioperi della Fiat sono la prova all’insurrezione generale, che avviene il 25 aprile 1945.

Sandro Pertini il 25 aprile 1945

Sappiamo che Mussolini, attraverso il Cardinale Schuster, vorrebbe trattare la resa col presupposto di consegnarsi in mano alleata, ben sapendo la fine che lo attendeva se catturato dai comunisti. In questo caso Sandro Pertini aiuta i comunisti del Comitato a rigettare le condizioni. Segnato dalla galera e dalle vessazioni subite, è tra i più intransigenti anche se non avrà alcuna responsabilità nell’obbrobrio di Piazzale Loreto gestito completamente dalle formazioni partigiane del Partito Comunista Italiano.

La seconda parte del racconto è qui.