Ancora Pera, Craxi e il "patrimonio"

Il pellegrinaggio di Pera (a costo di cascare nel banale ce lo scrivo, mai cognome fu più azzeccato) Ho raccolto lo straordinario articolo di Corrado Stajano comparso su l'Unità di ieri. "Il ladrocinio era palpabile" dice Stajano. Altro che "patrimonio" della nostra repubblica.
Elogio della società civile
di Corrado Stajano br> br>
Dunque, il presidente del Senato
Pera è andato a far visita
alla tomba di Craxi di Hammamet e
sul libro d’onore ha scritto: «Per
una memoria unita degli italiani».
Chissà che cosa avrebbe scritto dieci
anni fa quando era un «giustizialista» furibondo e affidava alla Stampa
i suoi pensieri in difesa dei giudici
di Milano bollando con parole
scarlatte la corruzione, i partiti mangiastato,
il malandrinaggio che infestava
la Repubblica. Si è revisionato
da sé. Adesso dice e scrive tutto il
contrario, sempre con toni accesi.
Non è vietato. Anche Picasso ha avuto
il periodo blu, il periodo rosa. Di
recente il presidente del Senato ha
fatto sfoggio delle sue ricordanze sul
tema dell’antifascismo e della Resistenza:
è arrivato il momento, ha
detto, di mettere in discussione quel
mito, di abbandonarlo, di pensare
soltanto a scrivere la storia. Mentre
Fini, l’alleato, parlava del fascismo
come del male assoluto.
La memoria è un punto forte di
Pera. Dev’essere un estimatore
di Proust, di Joyce, di Rilke, di
Alain Fournier. Chissà se ricorda ancora
quel che alla Camera dei deputati
disse Craxi il 10 luglio 1981, pochi
mesi dopo la scoperta delle carte della
P2, nei giorni successivi al tentato
suicidio nel carcere di Lodi del banchiere
Calvi: «Straordinaria è la crisi
che investe la Borsa di Milano, in preda
al panico e all’avventura. I giornali
di ieri hanno titolato le vicende della
Borsa milanese ricordando Caporetto,
non in senso figurativo, ma riandando
al reale precedente storico,
che pare appunto risalire alla giornata
che nel 1917 seguì la sconfitta militare». (...)
«Quando si mettono le manette,
senza alcun obbligo di legge, o
senza ricorrere ad istituti di cautela,
che pure la legge prevede, a finanzieri
che rappresentano in modo diretto o
indiretto gruppi che contano per quasi
metà del listino di Borsa, è difficile
non prevedere incontrollabili reazioni
psicologiche e varchi aperti per le
correnti speculative che si sono messe
al galoppo. La verità è che, contemporaneamente,
assistiamo all’intrecciarsi
di torbide manovre di potere
attorno a grandi giornali, a grandi
banche, a grandi gruppi finanziari».
Sappiamo quel che è accaduto dopo.
Il banchiere Calvi appeso - assassinato
- a un pilone del Blackfriars bridge
di Londra nel giugno 1982, la stagione
del terrorismo sanguinario, Craxi
presidente del Consiglio nel 1983, la
grande corruzione nella famosa «Milano
da bere», con l’ufficio di Craxi
diventato la più importante centrale
delle mazzette, un va e vieni da stazione
ferroviaria, in piazza del Duomo
19 dove adesso Forza Italia, gli eredi,
vorrebbero murare una lapide celebrativa
dedicata allo statista. Vicino a
un’altra lapide, quella che ricorda Turati
e la Kuliscioff, inquilini nella stessa
casa sopra i portici settentrionali
della Galleria.
Nella Milano di allora le tariffe delle
tangenti erano di pubblico dominio,
Silvano Larini, l’eminenza grigia di
Craxi, ha rivelato ai giudici i particolari
piùminuti. E anche tanti altri l’hanno
fatto e le carte parlano. Le sentenze
di condanna di Craxi sono passate
in giudicato.
Il ladrocinio era palpabile e quel che
allora accadde non può non far venire
in mente la cupa vicenda della Parmalat,
con il suo groviglio di bond e
di finzione, le compravendite di titoli
inesistenti, i contratti fiduciari, le falsificazioni,
l’uso delle società off-shore,
le complicità e le coperture politiche
e amministrative che non possono
non sussistere in un meccanismo
così complicato come quello di Collecchio.
Vittime i risparmiatori imbrogliati
o malconsigliati dalle banche
come ai tempi del crac delle banche
di Sindona e del Banco Ambrosiano
di Calvi, ma in una dimensione
assai più ampia, e con loro i contadini
sudamericani, i produttori di latte,
i lavoratori delle aziende sparse in tutto
il mondo, la miriade di società dell’indotto.
Vent’anni fa le reazioni dei cittadini
che comprendevano di vivere in una
società profondamente corrotta furono
lente, difficili da esprimere. Come
oggi: cominciano adesso le prese di
coscienza, le proteste. A Milano, dopo
l’83-’84 la ribellione, mentre stava
cambiando l’assetto sociale, fu sotterranea
e timida, poi più aperta, coraggiosa
e diffusa. Uno dei segni, forse il
più rilevante, fu nel 1985 la nascita
del Circolo Società civile, 101 soci fondatori,
400 venuti dopo, grandi nomi
e piccoli nomi, in buona parte la borghesia
responsabile della città che rifiutava
le pratiche corrotte di quella
politica della spettacolarizzazione,
manifestava disagio profondo nei
confronti dei partiti che su tutto
quanto volevano imporre le loro decisioni
e la loro prepotenza. Il Circolo
non nasceva contro i politici-irritati,
furiosi - ma in nome di una nuova
politica. Lo statuto non mitizzava il
concetto di società civile che non
spuntava certo allora (August Ludwig
von Schlozer, 1794) rifiutava
l’idea che tutto quanto è fuori dai
partiti fosse per se stesso civile, escludeva
i politici di professione perché
hanno altri spazi per esprimersi, denunziava
il malaffare, sosteneva l’importenza
sociale e politica della questione
morale. Nando Dalla Chiesa
ne fu l’anima. Un mensile, Società civile,
pubblicato per quasi dieci anni
con difficoltà di ogni genere fu una
libera voce odiata dai profittatori e
dagli speculatori. Manifestazioni, dibattiti,
convengi su temi scottanti ravvivarono
una città malandata, mezza
morta, proprio come adesso.
Mani Pulite, nel 1992, rappresentò
una liberazione. Da anni, ormai, si
tenta di immiserire l’inchiesta, dimenticando
in modo impudico la ruberia
generalizzata che infettò le fondamenta
di una città, la capitale morale:
4520 indagati per corruzione,
concussione, altri reati; 3200 soltanto
a Milano; 1400 condannati spesso
confessi. La coda, davanti agli uffici
della Procura della Repubblica, di imprenditori
soprattutto, che volevano
confessare, liberarsi da un peso e
smettere di pagar mazzette, era interminabile.
Con loro, amministratori
pubblici, guardie di finanza di grado
alto e basso e politici, soliti incontrarsi
periodicamente tutti quanti intorno
a un tavolo per dividersi le percentuali
sugli appalti. Per il partito o per
se stessi. Come si può dieci anni dopo
negare ancora l’evidenza, mentire
in modo spudorato, dare a un’inchiesta
giudiziaria, con luci e ombre, significati
falsi tentando di trasformarla
nello strumento di un complotto
contro il sistema politico? Seguitando
a perseguitare i magistrati - avviene
dal 1994 -, senza aver approvato
una sola legge contro la corruzione,
senza aver posto mai al primo posto
delle cose da fare la legalità, il rispetto
della legge che in uno stato di diritto
è uguale per tutti.