Berlusconi può fare il miracolo
"Non è una forzatura - ecco l'attualità del significato del 18 aprile - sostenere che, adesso, il fondamentalismo islamico (pur con tutte le sue specifiche connotazioni) ha preso il posto del comunismo internazionale nell'attacco mortale e definitivo al mondo occidentale". L'ho letto sull'edizione online odierna di Libero, digerendo con fatica tutto l'articolo dedicato alle elezioni del 18 Aprile 1948 che riporto in questo post.
In parallelo Vittorio Feltri analizza da par suo la situazione contingente
"Non è casuale l'invito del presidente Ciampi ai partiti di dar vita a una edizione straordinaria della cosiddetta Solidarietà nazionale, che in termini terra terra significa un governo-ammucchiata con il compito di fronteggiare l'emergenza. Sarebbe una mezza vittoria della sinistra che rientrerebbe dalla finestra grazie (o a causa, è lo stesso) a quel terrorismo contro il quale non ha combattuto con lo slancio indispensabile. La prospettiva non ci va a genio. Per scongiurarla, occorre che il governo rinunci alla propria vocazione balneare e si batta allo scopo di liberare quei ragazzi. Dài Berlusconi, ti chiediamo un miracolo. Puoi farcela".
Leggo, ma ancora non mi riesce di capire chi possa essere tanto disinformato (perché è la condizione necessaria a prendere per buona una sola di queste baggianate) da continuare a leggere Libero.
Qui ci vuole un altro 18 aprile
di GIULIANO CAZZOLA
LA DATA
Diciotto aprile. Questa data meriterebbe di essere iscritta nel novero dei giorni sacri alla Patria; magari al posto di qualche inutile e insignificante festività infrasettimanale. Il 18 aprile del 1948 gli italiani - dopo essere usciti da un'atroce guerra mondiale ed essersi liberati, grazie al sacrificio di tante persone, di una ventennale dittatura - scelsero la democrazia, l'economia di mercato, un sistema di alleanze che inseriva il nostro Paese nel contesto del mondo occidentale e dei suoi valori di libertà. Non è un caso che questa ricorrenza sia a bella posta dimenticata persino da coloro che si proclamano continuatori della tradizione democristiana. La propaganda comunista (con l'aiuto dei tanti manutengoli, reggitori di coda, servi del re di Prussia, presenti e attivi negli altri partiti, nelle istituzioni e nella società, su cui il Pci e i suoi eredi hanno sempre potuto contare) ha sempre privilegiato i momenti riconducibili alla logica dell'arco costituzionale, fino al punto di arrivare, adesso, alla requisizione del 25 Aprile e della Festa della Liberazione. Nel 1948, al momento delle prime elezioni libere, una coalizione di partiti democratici (a pensarci bene le radici di quelle forze sono germogliate nuovamente all'interno della Casa delle libertà) sconfisse il Fronte popolare (l'alleanza dei comunisti e socialisti), allora di stretta osservanza sovietica e perciò ostile agli Usa, al Piano Marshall, all'alleanza militare tra le nazio ni libere, che di lì a poco sarebbe nata. Ci volle una classe dirigente convinta e risoluta, pronta ad affrontare sfide durissime, ad accettare costi sociali imponenti (occorreva riconvertire un apparato produttivo devastato, prima ancora che dalla guerra, da anni di autarchia e di ridotta competitività). Per fortuna, il Paese poté contare su uomini come Alcide De Gasperi (che non esitò a cacciare le sinistre dal governo) o Giuseppe Saragat, il quale, con la scissione di Palazzo Barberini, nel 1947, mantenne aperta, per la tradizione socialista, una prospettiva saldamente riformista e democratica, che il partito di Pietro Nenni aveva, in quel frangente, smarrito. La dimensione planetaria della minaccia comunista Perché abbiamo voluto ricordare tali eventi lontani, riposti nel dimenticatoio del nostro opportunismo nazionale? La risposta è presto data. Il senso profondo di quegli anni è valido anche adesso, a fronte delle gravi traversie che siamo costretti ad affrontare. Certo, la storia non si ripete mai. E tante sono le differenze tra le vicende di oggi e quelle accadute a metà del secolo scorso. Allora, il nemico da cui difendersi era il comunismo internazionale, il quale si esprimeva non solo con la presenza minacciosa dell'Armata Rossa nel cuore dell'Europa, ma si avvaleva anche di uno sterminato numero di "quinte colonne" sparse nel mondo, devote ed ubbidienti agli ordini di Mosca. La sfida tra la democrazia e il comunismo aveva una dimensione planetaria e si fondava su quanto di più radicato l'umanità ha scoperto per giustificare, con se stessa, le stragi più efferate, i genocidi più atroci, le torture più abiette: il pregiudizio ideologico, spinto fino all'intolleranza, all'odio verso chi appartiene ad un'altra classe sociale, ad una diversa religione, ad un'altra razza o etnia, ad una fede politica differente dalla propria. Adesso il pericolo è il fondamentalismo Non è una forzatura - ecco l'attualità del significato del 18 aprile - sostenere che, adesso, il fondamentalismo islamico (pur con tutte le sue specifiche connotazioni) ha preso il posto del comunismo internazionale nell'attacco mortale e definitivo al mondo occidentale. Peraltro con l'aggravante che non esiste più un sistema statuale che faccia da intelligenza strategica (quindi in grado di articolare una tattica politica e di svolgere opportune mediazioni) per questo movimento fondamentalista (come invece agì, in larga parte, l'Urss nel caso del comunismo). Il nemico, adesso, si moltiplica per partenogenesi, come se fosse una tenia che semina in giro le sue schegge cariche di uova avvelenate; ci invade quotidianamente, insediandosi nelle nostre città, rifiutando l'integrazione nei valori delle nostre società. Pratica il terrorismo in sintonia coi brigatisti nostrani (Fabrizio Quattrocchi è stato ucciso con un colpo alla nuca, come Marco Biagi) che inneggiano alla lotta delle masse dell'Islam nelle aule dei tribunali. In tali frangenti, l'attuale classe politica è chiamata a rispondere, alla stregua di quella di allora. La sinistra, nuovamente, è pronta a cedere le armi, ad arrendersi a ripetere - aggiornandolo - lo sciagurato slogan "meglio rossi (leggi "musulmani") che morti". Tocca al centro destra, se ne è capace, di assolvere fino in fondo a quel ruolo di intransigenza, di fedeltà ai principi e alle alleanze a cui uomini come De Gasperi seppero tenere fede.