Bentornata sinistra

Questo pomeriggio ho rivisto la sinistra. Moderna, non nostalgica né utopica, ma capace di dire cose davvero “di sinistra” in modo chiaro, soprattutto senza utilizzare l’ormai intollerabile aggettivo “riformista”. Il merito per la visione improvvisa e inaspettata va a Emanuele Fiano, consigliere comunale a Palazzo Marino, capogruppo DS, candidato per Milano-centro alle provinciali nell’accozzaglione di gente che sostiene Filippo Penati. Per la sua campagna elettorale, Lele ha fatto una scelta di basso profilo spettacolare (immagino indotta anche dalle ristrettezze economiche), ma di alto profilo culturale: una serie di incontri con personaggi di qualità, per parlare di un futuro di Milano “altro” rispetto a quello imposto dalle variamente ignobili giunte di destra che si sono succedute negli ultimi anni.
“Vivere a Milano, vivere in centro. Mobilità, spazio, cultura” era il titolo dell’incontro di oggi, cui sono andato (ammetto un po’ scettico, visti i contenuti elettorali) perché era prevista la presenza di due personaggi che avevo voglia di sentire: Moni Ovadia (che adoro) e Alessandro Amadori (idem). Era in programma anche Ennio Rota (Legambiente, vabbè) e l’architetto Vittorio Gregotti, che però ha elegantemente dato buca all’ultimo minuto.
Fiano non ha detto molto, si è limitato a fare domande, cosa di per sé già lodevole. Domande che hanno dato spunto ai tre ospiti per un primo giro di interventi su aspetti locali (traffico, piste cicabili, zone pedonali, mezzi pubblici, eccetera) e per un secondo giro di interventi di più ampio respiro, in cui Moni e Amadori, ciascuno a modo suo, hanno dato spettacolo di intelligenza e cultura.
Ovadia, vero animale da palcoscenico, ha stigmatizzato la povertà culturale di “questa” destra. «Mi sentirei perfettamente a mio agio a confrontarmi con la destra francese, che considera Sartre e il vecchio partigiano comunista come valori di tutti e non solo della sinistra» ha detto. «Ma è intollerabile per esempio che questa Lega, che millanta amore per la cultura padana, non abbia speso una parola su Carlo Porta, che divide con leopardi il ruolo di più grande poeta dell’800. Intollerabile anche che un uomo della grandezza di dario Fo ancora non abbia un suo teatro, solo perché è di sinistra». Per affermare il valore culturale della “diversità”, il saltimbanco bulgaro-milanese ha ricordato i tempi del confronto del Comune col Leoncavallo (allora sindaco Formentini leghista, ahimé oggi Formentini ulivista), vissuto dalla destra come uno scontro milanesi-cattivi «come se quegli altri non fossero cittadini di milano, lo siamo tutti, belli e brutti, maggioranze e minoranze, uguali e diversi».
Alessandro Amadori è partito dai sondaggi di opinione, di cui è maestro, per spiegare gli spostamenti di consenso politico nelle grandi democrazie. Lo ha fatto citando Michel Maffesoli e le sue teorie postmodernistiche sui grandi cambiamenti epocali, secondo cui è in corso il « ritorno a un modello non moderno, arcaico, di socializzazione, in cui il relazionale prevale sul razionale, l’affettivo sul cognitivo, il gruppo sull’individuo, l’immaginario sul calcolo, il locale sul globale. Un ritorno dall’Illuminismo al Medio Evo, che porterà a una svalutazione dell’individualità a favore dell’aggregazione in un corpo collettivo». Il suo intervento si è concluso con l’osservazione che il limite maggiore di “questa” destra sta nell’incapacità di concepire scambi che non siano profittevoli. Tutto viene vissuto così, compresa la campagna elettorale, in cui ogni affermazione è valutata non sulla base del suo valore reale, ma per la quantità di voti che è in grado di “acquistare”.
Rota è rimasto sul concreto: la battaglia per la tutela dei giardinetti, che stanno scomparendo grazie alle follie di Goggi e De Corato, che vogliono trasformare ogni filo d’erba (generatore di passività) in box (profittevole). «Il giardinetto è l’ultima piazza rimasta in città, l’ultimo luogo di socializzazione quotidiana, bisogna difenderli» ha detto il rappresentante di Legambiente. Non ci avevo pensato, ma ha un senso.
Insomma, dopo questo incontro, la mia decisione di votare “Dumbo” sulla scheda per le provinciali ha vacillato un po’. Se solo i DS si decidessero a sostituire l’attuale presidente con un personaggio minimamente di sinistra, bè, avrebbero riconquistato un voto (oddio, magari anche più d’uno).