La Parola all’Esperto
di Marco Travaglio
Va affermandosi in Italia un nuovo mestiere di sicuro avvenire: il commentatore di sentenze mai lette. E’ un po’ come il recensore di film mai visti, che pretende di spiegare a chi li ha visti di che cosa parlano e come gli sono sembrati. Naturalmente, non avendoli visti, non ha la più pallida idea di che si tratti e dunque procede a tentoni, tira a indovinare, si barcamena come lo scolaro interrogato che non ha studiato. Ma mentre il recensore e lo scolaro rimediano figure barbine e voti bassissimi, il commentatore di sentenze mai lette ha l’applauso assicurato. Perché nel regime italiota si ritrova in assoluta maggioranza, circondato da persone che le sentenze non le hanno mai lette ma, come lui, le commentano copiosamente. A trovarsi a disagio, nel regime italiota, è colui – esemplare rarissimo, pressoché estinto – che le sentenze le conosce. Dunque, non ha diritto di parola. E, se per caso dice qualcosa, viene immediatamente zittito, sputacchiato, svergognato, minacciato, proposto per punizioni esemplari. L’ultimo caso del genere s’è verificato a proposito della sentenza della Cassazione su Andreotti, gabellata a reti unificate per un’assoluzione liberatoria, una beatificazione plenaria. Gian Carlo Caselli, uno dei tre o quattro in Italia che la conoscono (o meglio, conoscono la sentenza d’appello che la Cassazione ha confermato), ha tentato timidamente in un articolo sulla Stampa di ricordare di che si sta parlando: ”La Cassazione – ha scritto – ribadendo l’assoluzione per i fatti successivi, ha confermato che fino alla primavera del 1980 l’imputato ha commesso il reato di associazione con i mafiosi dell’epoca, capeggiati da Stefano Bontade, autori di gravissimi delitti”. Apriti cielo. Nessuno ha potuto smentire, sentenza alla mano, quel che ha scritto Caselli, anche perché la sentenza non l’ha letta nessuno. Ma nel regime italiota non ci si perde d’animo per così poco. Così, a Camere unificate, i politici di destra e di sinistra (con la lodevole eccezione dei Ds e Di Pietro) hanno zittito Caselli all’insegna del “come si permette?”. E’ come se le tv dicessero che il film “Troy” parla dell’attacco a Pearl Harbour e il regista provasse a obiettare che, in realtà, si parla della guerra di Troia, ma venisse zittito come un impiccione importuno.
“Quello di Caselli – dice al Giornale Paolo Cento dei Verdi – è un intervento inopportuno perché il processo si è concluso con un’assoluzione e bisogna rispettare la sentenza”. Non gli viene neppure in mente che, per rispettarla, bisognerebbe almeno darle un’occhiata. Così magari si scoprirebbe che l’assoluzione riguarda il periodo 1980-1993, mentre per il periodo fino al 1980 il reato è stato commesso e accertato, ma l’imputato sé salvato per prescrizione. Poi c’è l’onorevole Enrico Buemi dello Sdi, quello che l’anno scorso propose in tandem con Carlo Taormina di depenalizzare il reato di furto. Stavolta pontifica su Andreotti e sostiene che “Caselli si arrampica sugli specchi per difendere quello che ha fatto” e che “tutto il processo Andreotti nasce da una pericolosissima confusione tra le responsabilità politiche e quelle penali che attivano processi mostruosi come quello che lo ha riguardato”. Ma qui di pericolosissimo e mostruoso c’è solo l’ignoranza (dal verbo ignorare) del Buemi sul processo Andreotti: Se la Corte d’appello di Palermo ha accertato che il sette volte presidente del Consiglio incontrò due volte il boss dei boss Stefano Bontade, prima e dopo il delitto Mattarella, e intrattenne “amichevoli relazioni” con i vertici di Cosa nostra, “chiedendo favori” e fornendo “suggerimenti”, di quali “responsabilità politiche” va cianciando questo Buemi? Le “amichevoli relazioni”, i suggerimenti e gli scambi di favori con la mafia sono responsabilità penali, configurano un reato ben preciso che si chiama associazione mafiosa (prima del 1982, quando fu introdotto quel delitto specifico, si chiama associazione per delinquere semplice). Anche Giuseppe Fanfani della Margherita ha censurato Caselli, dicendo che “le sentenze non si commentano mai”: ora, a parte il fatto che i politici non fanno altro che commentare sentenze, Caselli non ha affatto commentato quella della Cassazione e della Corte d’appello. Ha semplicemente informato i lettori della Stampa del contenuto di quelle sentenze, perché ciascuno potesse farsene un’idea. Magari criticare aspramente i giudici, ma sapendo almeno che cosa avevano scritto. Formidabile il commento di Ottaviano Del Turco, già presidente dell’Antimafia, che qualche sillaba della sentenza avrebbe dovuto pur leggerla: “Non capisco perché una parte della sinistra italiana continui a sottoscrivere una visione della storia d’Italia come se fosse stata governata per 50 anni da mafiosi e piduisti”. Dunque non solo la mafia non ha mai avuto rapporti con la politica, ma nemmeno la P2. Gelli non è mai esistito, Berlusconi non è mai stato iscritto alla P2 insieme a generali, ministri, sottosegretari, giornalisti, lo dice l’ex presidente dell’Antimafia, allegria.
Se il centrosinistra ha reagito così, figurarsi il centrodestra. Il prof. pres. on. avv. Pecorella sostiene che “prescrizione non significa che il reato è stato commesso, ma che non c’era l’evidenza che fosse stato commesso”. Se avesse letto almeno il dispositivo (12 righe) della sentenza d’appello confermata in cassazione, avrebbe letto proprio ciò che lui nega: e cioè che il reato di associazione per delinquere è stato “commesso”, è “concretamente ravvisabile”, è provato, ma “estinto per prescrizione”. Poi c’è il leggendario Giovanardi, quello che fa addirittura il ministro e che riesce a scrivere libri (anzi uno solo, sempre lo stesso) sulle sentenze, senza conoscerle. “Caselli – dice il Giovanardi – persevera nel gettare fango su Andreotti, confermando che per alcuni pm malati di ideologia il loro imputato sia comunque colpevole anche se assolto in tre gradi di giudizio”. Il concetto di prescrizione non riesce proprio a entrargli in testa: è più grande di lui.
il libro di giovanardi di cui si parla (l'unico che abbia mai scritto) e':
Storie di straordinaria ingiustizia : arrestati, infangati e prosciolti / Carlo Giovanardi ; prefazione di Ferdinando Imposimato. - Roma : Koine, 1997. - 111 p. ; 21 cm.
lo posseggono poche biblioteche, piu' che altro vescovili... basta essere un po' immanicati coi preti e un posto sullo scaffale lo trovi sempre...
Sul resto dell'articolo... dover dar ragione a Caselli mi fa sentir male quanto non ti immagini neppure...