Caro Celentano,
non mi piace parlare di me ma ho bisogno di spiegare perché giovedì prossimo non sarò con lei e con i miei compagni di avventura, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, a «Rockpolitik».
Provo per lei stima e affetto, dunque non potevo che accettare il suo invito. So che la sua trasmissione rimarrà nella storia della tv italiana e pensi se a me non sarebbe piaciuto essere uno dei protagonisti. In questo momento le auguro di andare in onda e spero che chi ha impedito a me di continuare a fare quel che facevo non sia ancora oggi così forte da impedirlo a lei. Veniamo al dunque: anche se il direttore di Raiuno, Fabrizio Del Noce, si è autosospeso e ha minacciato di togliere il nome della rete durante il suo programma, io in quella casa non posso entrare. Per 41 anni ho lavorato per Raiuno, ne ho diretto il tg, ho avuto a che fare con grandi direttori, che, quando non erano d’accordo, non si sospendevano, ma rinunciavano alla poltrona.
Oggi molti che fanno il mio mestiere soffrono di scoliosi. Lei, invece, dedicando la sua prima puntata alla libertà di informazione, rende un grande servizio non a noi epurati, ma alla democrazia del nostro Paese. Lei deve comprendere che io non posso ritornare alla rete ammiraglia della Rai fino a quando ci saranno le persone che hanno chiuso il programma e impedito alla mia redazione di lavorare. Forza Celentano, giovedì sarò il suo primo telespettatore.
Enzo Biagi
Biagi può permetterselo :-)
anticipazione del libro di Enzo Biagi che sta per uscire :
«Era ieri»
Enzo Biagi: la mia vita, tante storie
I ricordi professionali e privati di un grande del giornalismo. Mastroianni, il «gigante» Montanelli, le accuse di Berlusconi
«Era ieri». Il titolo dell’ultimo libro di Enzo Biagi, edito da Rizzoli, non nasconde complicate chiavi di lettura, esplicito e persino candido com’è. Quasi quanto l’incipit del primo capitolo («Sono nato a Pianaccio tanto tempo fa, il 9 agosto 1920») così volutamente ovvio, e onesto. Di fatto un’avvertenza per l’uso: qui si maneggiano i ricordi professionali e privati di un grande giornalista ma anche di un uomo qualsiasi, come qualsiasi in fondo è ogni vita umana, persino quella speciale di chi descrive agli altri la contemporaneità. Biagi non riordina il flusso della sua memoria semplicemente perché non intende farlo. E così i diciassette capitoli partono indifferentemente da una data («Il primo grande viaggio della mia vita è del 1952, destinazione New York»), da un sentimento (la nostalgia), dal ritratto di un amico (Marcello Mastroianni), da una constatazione politica («Non è una grande notizia: Silvio Berlusconi non mi ama...»). E ti conduce su un’altra sponda. Quindi bisogna lasciarsi guidare dal filo gettato da Biagi per studiare i protagonisti del passato (da Ferruccio Parri ad Amintore Fanfani, da Albert Speer a Walter Reder, solo per citare due accoppiate) magari sistemati accanto a Dario e Bice Biagi, i genitori di Enzo, sottratti al semplice bozzetto intimistico e inseriti, coi loro gesti antichi, nel mosaico di un’Italia sparita.
Era insomma ieri quando un Enzo Biagi ragazzino, assunto nei giorni dell’invasione nazista della Polonia al Resto del Carlino , smascherava Cadranel, pseudo-fachiro che attirava folle emiliane in uno scantinato di Bologna per i suoi lunghi digiuni. In realtà mangiava di nascosto (zucchero e carne tritata, occultati nel manico di un cacciavite) e fu il primo scoop, con tanto di arresto del «mago» ovviamente sardo e men che mai indiano. Così come in fondo «era ieri» anche la chiusura della trasmissione Il Fatto dopo 814 puntate e dopo la famosa accusa, lanciata a Sofia da Berlusconi contro di lui, Michele Santoro e Marco Travaglio, di «uso criminoso della tv» . E qui Enzo Biagi si toglie più di un sassolino dalla scarpa pubblicando i suoi carteggi con Agostino Saccà, allora direttore di Raiuno, ed elencando puntigliosamente i mille estenuanti rinvii dell’ultima stagione del 2002. Fino alla chiusura del rapporto con la Rai, alla transazione economica di cui in tanti hanno parlato: «Dopo quarantun anni ho versato in banca poco più di quanto il collega Bruno Vespa guadagna in un anno, comunque circa quello che un giudice ha stabilito come risarcimento per Michele Santoro. Quei soldi non mi sono stati dati per farmi tacere perché questo libro, se così fosse, non sarebbe mai stato scritto, e soprattutto non li avrei mai potuti accettare».
La Rai occupa inevitabilmente gran parte del libro, e non solo quella della stagione berlusconiana. Ecco il 1963: «Ettore Bernabei mi offrì la direzione del Telegiornale, anche se tutti sapevano che votavo per i socialisti di Nenni». L’organico era ridotto all’osso, altra traccia di un’Italia oggi inimmaginabile: «La redazione in via Teulada era fatta da venticinque giornalisti, dieci operatori e dieci montatori, tutti di grande professionalità». Qualche nome scelto nella lista di Biagi: Marcello Alessandri, Brando Giordani, Carlo Fuscagni, Paolo Frajese, Aldo Falivena, ovviamente Sergio Zavoli («un amico della giovinezza, i suoi consigli mi hanno sempre aiutato»). Tutto intorno, il resto del mare dei ricordi. Indro Montanelli compare, anzi giganteggia, in una ventina di circostanze e fino all’ultima pagina (con il suo motto «Il pubblico è il mio padrone»). Quindi uno straordinario ritratto del Marcello Mastroianni incontrato a Parigi nel 1996, già malato e stanco. Solo alla fine del capitolo, Biagi ci restituisce un Mastroianni giovanissimo che accetta la parte di protagonista de La dolce vita da un Fellini, steso su una sedia a sdraio sulla spiaggia di Fregene, che lo prende in giro mostrandogli una cartellina con «il copione». Invece c’è un disegno, uno dei disegni erotico-onirici tipicamente felliniani. Mastroianni arrossisce, fa finta di niente, è troppo felice di lavorare per il Maestro che non è ancora suo grande amico ma del quale sarà presto il Doppio sul set: «Sì, interessante, mi dica solo dove devo venire, quando devo presentarmi».
Come in tutti i libri autobiografici, affiorano gli incubi. Quello di Biagi unisce la memoria delle sue cronache dai campi di concentramento agli affetti familiari. Lui tiene per mano Rachele, la nipote ebrea figlia di sua figlia Carla: «Lei è piccina, insieme scappiamo per i miei monti, i posti dove ho fatto il partigiano, che conosco bene. Camminiamo, io le tengo sempre più stretta la manina con la destra, sento che è affidata a me, che devo proteggerla. Pensando a Rachele è inevitabile che mi vengano in mente quei sei milioni di bambini, donne e uomini che pregavano come lei prega e che sono morti perché ci sono stati tanti che hanno creduto nella follia hitleriana». Era ieri, anche quella spaventosa atrocità. Ma deve restare «ieri», ci dice quell’incubo. E chi lo ha vissuto ha il dovere di raccontarlo.
Il libro di Enzo Biagi, «Era ieri», a cura di Loris Mazzetti, è pubblicato da Rizzoli (pagine 305, 17,50 €). Sarà in libreria dal 19 ottobre
LUTTAZZI, GRAZIE CELENTANO MA NON SARO' A 'ROCK POLITIK'
Anche Daniele Luttazzi si chiama
fuori da ''Rock Politik'', il programma di Adriano Celentano.
Luttazzi, in merito alla sua annunciata partecipazione alla prima
puntata della trasmissione, ringrazia Adriano Celentano e Carlo
Freccero (ex direttore di Raidue e tra gli autori del programma di
Celentano) ma, spiega, ''devo declinare l'invito per gli stessi motivi
ricordati da Enzo Biagi nel suo articolo sul 'Corriere della sera' di
domenica scorsa. Quando la Rai sara' bonificata da dirigenti che al
nome di Biagi, Santoro e Luttazzi preferiscono autosospendersi, quello
sara' un grande giorno'', dice Luttazzi.
Fonte: Articolo21.com
(grazie cristina! consapevole di rivelare la mia turpe natura, confesso che tra i 3 piu' celebri censurati--ma ce ne sono tanti altri--quello che mi manca di piu' sia proprio luttazzi, non tanto per la sua satira politica, quanto per le sue incursioni da maniaco sessuale. il motivo vero e' che mi fa ridere fino alle lacrime, ma se provo a razionalizzare, mi sembra che, con quelle grottesche esagerazioni, riesca a disinnescare e scaricare la violenza di tanta propaganda piu' o meno occulta ad es. nella pubblicita' che ti porta a preoccuparti se non pipi cocaina se non fai l'amore almeno una volta al giorno se non sei un culturista se non hai un suv se non compri il telefonino di megan gale--e potrei continuare facilmente. grazie anche a te daniele!)
dal blog di luttazzi:
Il sondaggio sulla mia partecipazione a Rockpolitik proposto da questo blog ha visto la vittoria schiacciante di chi avrebbe voluto rivedermi comunque in tv. Con lo stesso affetto, una minoranza mi consigliava di non farlo. In casi come questo, le motivazioni contano più dei numeri, e ringrazio tutti per l'aiuto e gli spunti di riflessione davvero preziosi.
Gli argomenti cui avete fatto ricorso per convincermi in un senso o nell'altro sono riconducibili a sei categorie psicologiche:
la reciprocità ( “ ti offrono l'opportunità di andarci, vacci e spara a zero ” / “ ti vogliono solo per fare audience “ );
la coerenza ( “ finisci per approvare la Rai che ti ha cacciato ” / “ vacci solo se…” );
la riprova sociale ( “ la maggioranza ti rivuole in tv ” / “ non prestare il fianco a chi vuole solo strumentalizzarti “ );
la simpatia ( “ sei da Celentano “ / “ Celentano è amico di Tony Renis “ );
l'autorità ( “ Celentano parlerà della libertà di informazione “ / “ Celentano è solo un populista “ );
la scarsità ( “ Quando ti ricapita? “ / “ Ti vogliono solo perché sei proibito “ ).
Uno di questi argomenti mi ha convinto. Così, ieri alle 19,45 ho dettato all'agenzia Adn Kronos il seguente comunicato:
“In merito alle notizie apparse sulla stampa relative alla mia partecipazione al programma Rockpolitik, ringrazio Adriano Celentano e Carlo Freccero, ma devo declinare l'invito per gli stessi motivi ricordati da Enzo Biagi nel suo articolo sul Corriere di domenica. Quando la Rai sarà bonificata dai dirigenti che al nome di Biagi/Santoro/Luttazzi si autosospendono, quello sarà un grande giorno.”
Il bello di situazioni del genere è che vedi in moto la macchina dell'informazione. Dieci minuti dopo, l'agenzia ANSA ( la stessa che diffondendo una falsa notizia sui miei Dialoghi platonici a Genova, nel novembre 2003, finì per scatenare un putiferio ai miei danni ) se ne usciva con la versione seguente: “ Intanto è già saltata la possibilità di rivedere in tv la triade formata da Biagi-Santoro-Luttazzi: il primo ha preferito dire no e ha spiegato ieri sul Corsera i motivi; il secondo non può per ragioni, sembra, di ordine legale; il terzo, da solo, non avrebbe lo stesso significato. “
La differenza apportata dall'ANSA è minima, ma significativa: viene smussata la presa di posizione ( mia e di Biagi ) sui dirigenti Rai che non si sono mai vergognati di assecondare l'ukase bulgaro di Berlusconi. Ovvero che non si può andare in una rete che ha come dirigente uno come Del Noce. L'anno scorso, il direttore di Rai1, nella conferenza stampa del Prix Italia, a un giornalista che gli chiedeva quando sarei tornato in tv, ha risposto: “Luttazzi? Uno che mangia escrementi in diretta, per finta o realmente, non potrà mai lavorare qui.” Notare prego la perfidia di quel "realmente".
( A proposito: Del Noce lo vedo sempre sui rotocalchi mentre bacia questa o quella ragazza. Dovrebbe smetterla. E' come se volesse dimostrare qualcosa. ) ( )
Dopo le polemiche sulla censura a Paolo Rossi e a Tucidide, Del Noce dichiarò che la satira non fa parte dei piani editoriali della Rai. E dato che la libertà di satira di un Paese corrisponde al suo gradiente di democrazia, traete da voi stessi le allarmanti conclusioni.
Già ha cassato la parodia di Ratzinger ancor prima della messa in onda. Decide lui di cosa dobbiamo ridere. -E' eccessiva.-
Ma la satira non può essere moderata. Deve mettere a soqquadro. C'è una bella differenza, fra satira e comicità. Il comico fa una caricatura e basta. “ Berlusconi è basso.”
La satira invece usa l'elemento altezza per dare un giudizio morale. “ Il fatto che Berlusconi sia basso è un guaio non tanto per lui, quanto per i suoi seguaci. Perché è scomodo, quando devi baciargli il culo.”
By Daniele Luttazzi at 18 Ott 2005 - 11:55
proprio oggi alberto mi offrivi una tua definizione e mi e' piaciuta la tua risposta, ma mi pare che il luttazzi disegni un altro tratto essenziale di cosa e' un intellettuale. chapeau
ROCKPOLITIC E' STATO UN PROGRAMMA INTELLIGENTE, DI ATTUALITA' E ANCHE DIVERTENTE GRAZIE ALLA SATIRA DI CUI SPESSO SI E' FATTO USO, ANCHE SE ALCUNI LO HANNO DEFINITO UN PROGRAMMA NOIOSO ANCHE DAI COMMENTI CHE HO SENTITO NEL PROGRAMMA PORTA A PORTA DI VESPA. BRAVO ADRIANO CONTINUA COSI