«Dal Comune abbiamo ricevuto solo insulti e bugie»
di Arando Stella
«L'assessore Maiolo mente. Dice che non abbiamo voglia di lavorare: mente. Sostiene che i rappresentanti delle comunità sono in Italia da anni senza un'occupazione: mente. Io mi chiamo Sirej Adam, ho 22 anni e sono il delegato della comunità eritrea. Sono in Italia da tre mesi, da due a Milano. L'assessore Maiolo ci insulta». Il portavoce dei 41 eritrei che ieri hanno lasciato la struttura di via Pucci per il gelo in piazza della Scala, non ha nessuna voglia di smorzare le critiche nei confronti della responsabile dei servizi sociali del Comune: «Ci propone il centro di viale Fulvio Testi: bene. Poi però scopri che gli orari sono assurdi: uscita obbligatoria alle 7 del mattino, rientro alle 18. E durante il giorno dove stiamo? E chi lavora di notte, come fa?».
Sirej è davanti a Palazzo Marino dalle 17 con il resto della comunità eritrea. Poco dopo le 22 sale insieme agli altri sull'autobus che li porta in viale Fulvio Testi: «Fa troppo freddo per stare qui. Domani
(oggi, ndr) vedremo cosa fare». Poche ore prima, però, era stato il suo «no» all'ultima proposta del Comune a far saltare i piani. Il centro d'accoglienza gestito dalla Caritas in viale Fulvio Testi «è una proposta inaccettabile sul lungo periodo, e non solo per le regole. Chiediamo da tempo un'unica soluzione per tutti. Per noi, per i rifugiati che sono insoddisfatti dei container di via Di Breme e per quelli in via Anfossi».
La proposta del Comune comprende assistenza, corsi di italiano e avviamento al lavoro. Ed è la stessa già avanzata ai 62 sudanesi che dal dormitorio di viale Ortles sono invece partiti per Ginevra, sede dell'Unhcr. Obiettivo: «Denunciare i maltrattamenti subiti a Milano». E Sirej condivide quella scelta «in difesa dei loro diritti». Sulla questione, poi, che le decisioni dei «capetti» cadano a pioggia sul resto degli immigrati è deciso: «Decido io per tutti? Non è vero. Tutto quello che mi dice il Comune lo riferisco agli altri e ne parliamo insieme».
Nega anche che ci siano «pressioni» esterne: «Nessuna: dalle associazioni riceviamo solo supporto umanitario». Anche se «sì, erano stati degli amici italiani a consigliarci di occupare lo stabile di via Lecco. Ma avevamo tre o quattro possibilità». Quale sarebbe a questo punto la soluzione ideale? «La scuola di via Saponaro. Altrimenti, non so». Si interrompe. «Io non sono qui per i soldi, voglio solo vivere pacificamente. Appena migliora la situazione in Eritrea, torno subito a casa».