Ferrante: «Milano città aperta, l’Unione così può vincere»
«Penso ad una comunità coesa e solidale»
di Carlo Brambilla
L’ex prefetto Bruno Ferrante, candidato sindaco del centrosinistra e sfidante di Letizia Moratti, ha deciso di scandire la lunghissima campagna elettorale sui ritmi del maratoneta, battendo il territorio palmo a palmo, dalle periferie al centro, per ascolta-
re, proporre, convincere, «senza - come lui stesso afferma - farsi condizionare troppo dalla furiosa battaglia nazionale». Il traguardo di Palazzo Marino è ancora lontano, ma il passo tenuto fin qui è buono e le sensazioni positive aumentano giorno dopo giorno, confortate dai sondaggi. Per Ferrante vincere è possibile, ma a una precisa condizione: «L’assoluta compatezza della coalizione unionista». Quindi stop a polemiche e nervosismi sulla composizione delle liste.
Dottor Ferrante, a che punto è la campagna elettorale?
«Intanto è innegabile che esista una sovrapposizione fra la campagna elettorale per Milano e quella delle politiche. Proprio per questo ho scelto di approfondire i contatti soprattutto coi quartieri. Ho appena concluso un secondo giro di incontri. Ascolto e propongo soluzioni di governo per i molti problemi che affliggono la città. Ma anche per le molte opportunità».
Sensazioni ricavate?
«Ho avvertito un distacco profondo fra cittadini e istituzioni, un grandissimo senso di abbandono da parte di chi ha governato la città fino a oggi. Questo è un dato culturale, sociale e politico insieme. Esiste senza ombra di dubbio un problema di partecipazione perchè i cittadini in questi anni non solo non sono mai stati coinvolti. Constato che a Milano sono fiorite decine di comitati spontanei attorno ad altrettanti problemi specifici, da quelli per il parcheggio della Darsena, a quelli per la Gronda Nord, a quello per la Città della Moda e via elencando. È la dimostrazione del profondo scollamento fra cittadini e governanti, cui spettava il compito di intercettare i bisogni reali dei milanesi».
Insomma c’è stato un fallimento politico, come intende rimediarvi?
«Facendo il contrario di quanto è stato fatto finora. Per intenderci la politica che a me piace è quella che sa parlare alla gente e stare dalla parte della gente. La politica per me è un’attività incessante di mediazione. Mediazione alta fra gli interessi dei vari corpi sociali. Senza confronto non ci sarà mai decisione condivisa. Solo le decisioni condivise evitano conflitti e tensioni sociali».
A cosa si riferisce?
«Francamente penso ai giovani e agli stranieri immigrati. E penso anche alla lezione che ci viene dalla Francia. Prima le periferie in fiamme e in questi giorni la rivolta contro il precariato. Bisogna stare molto attenti anche a Milano, perchè i giovani lasciano la città per mille motivi, riassumibili tutti in una parola: esclusione o emarginazione. Invece bisogna investire sui giovani, creando prima di tutto una rete di “luoghi” di incontro. Insomma bisogna ridare a Milano le sue caratteristiche di città aperta...».
Vale a dire?
«Ad esempio la scuola e le sue sedi, sono pensate solo come luoghi della didattica. Perchè non trasformarle invece in una sorta di presidio permanente di incontro e di attività formative e culturali? Il discorso di “città aperta” vale anche per gli stranieri. Se non si sviluppano politiche socialmente corrette sull’immigrazione il rischio di aumento delle tensioni e dell’esasperazione è più che reale. Coinvolgere gli stranieri nella società significa non considerarli più cittadini di serie B. Alle primarie dell’Unione di gennaio abbiamo dato un segnale chiaro: li abbiamo fatti votare, li abbiamo fatti scegliere».
Ma che città è Milano oggi?
«Una città che si è chiusa su se stessa. Che ha tradito le sue origini e la sua vocazione storica di città aperta. Mediolanum insomma. Invece ha accentuato le chiusure al dialogo, perfino con città e paesi vicini, con istituzioni contigue, fino al punto di aprire veri e propri conflitti. Un danno enorme. Milano ha problemi non risolvibili nella dimensione comunale. I problemi sono grandi e il territorio è piccolo. Mobilità, inquinamento, casa, immigrati sono problemi che vanno risolti su scala molto più grande. Milano deve aprire un tavolo permanente di confronto. Parlo di città chiusa sul piano istituzionale e sociale e anche pigra culturalmente. Insomma Milano è diventata una città dura, dove può vivere bene solo chi ha redditi alti. E qui si torna al problema anche dei giovani».
Ma è possibile tenere insieme sviluppo e programmi sociali?
«Insisto, sviluppo significa futuro e futuro significa giovani. Prendiamo la casa, costa troppo. Penso perciò che sia necessario calmierare questi costi attraverso abbattimenti di imposta sull’acquisto della prima casa e incentivare i proprietari di casa ad affittare a prezzi più bassi.
Che sindaco sarà Ferrante? Un privatizzatore di aziende municipali, come Albertini?
«La stella polare è l’interesse pubblico. Alcune aziende sono già di diritto privato, ma quel che conta è la missione. E la missione è il servizio pubblico. Una municipalizzata non deve fare utili di bilancio, non deve comprare bond cirio. La missione è tutto. Se si vuol vendere il 30 per cento di Sea (la vendita della società aeroportuale è già bloccata, ndr) allora dico alt, fermi tutti. Non si vende per fare cassa».
E i poteri forti?
«Milano ora è una città città dei pochi, di pochi che comandano. Il mio obbietivo è far diventare Milano la città di tutti. Alcune realizzazioni di questi anni sono state fatte solo con una parte dei poteri forti. Chi rappresenta l’Amministrazione deve parlare con tutti».
Si presenterà con una lista civica, è vero che c’è nervosismo nei partiti?
«C’è sempre tensione quando si preparano le liste. E un po’ di nervosismo è fisiologico. Ricordo che tutti i partiti hanno ritenuto necessaria la lista civica per raccogliere consensi non vicini al centrosinistra. Insomma la lista civica rappresenta un valore aggiunto e i sondaggi lo confermano. Il nostro obbiettivo è vincere. La coesione è fondamentale.
A proposito di coesione, Dario Fo ha deciso di candidarsi. Una scelta imbarazzante?
«Intanto va detto che Dario in questi anni è stato maltrattato da Milano, addirittura estromesso dalla vita della città. Si candida, è vero, ma ha anche sempre detto che mi sosterrà se dovessi vincere. E questo è un dato politico significativo. Lui è una ricchezza per Milano e per il Paese. Perciò ritengo che una figura come lui vada valorizzata in maniera compiuta».
Il programma tarda...
«Non è vero, dopo il voto delle politiche presenterò il programma. Stiamo elaborando anche alcune mie proposte personali».
Tipo?
«Di sicuro ci sarà un assessorato nuovo: Diritti civili, Immigrazione e Coesione sociale. Stiamo anche valutando la possibilità di istituire un assessorato per l’Infanzia»
davvero bella
avanti così
bene. anche a non aver insistito sui comitati secondo me. provengono da esasperazione, ma ciò non vuol dire sempre che siano progressisti. molte volte sono un aspetto del populismo.
Carolina