
L'editoriale di Carloalberto Carnevale-Maffè (Presidente del Comitato Scientifico di Assodigitale) con cui Corsera riassume su Corsera di oggi la vicenda Fastweb-Metroweb - di cui la cessione della rete in fibra a un piccolo fondo inglese chiaramente di facciata è l'amara conclusione - è un piccolo capolavoro di superficialità, per non dire di disinformazione. Una serie di inesattezze e affermazioni quantomeno discutibili portano il lettore a ritenere che la vendita di Metroweb abbia in qualche modo un senso. Non è vero, non ce l'ha. O meglio, non ce l'ha per la collettività, perché se due più due fa quattro, questa vicenda condotta nella totale mancanza di trasparenza, completata in epoca balneare nonostante le recenti rassicurazioni di Zuccoli ("nulla è deciso, ci prendiamo una pausa di riflessione"), oggi vede qualcuno che stappa una geroboam di Cristal a spese dei milanesi.
Dice Carnevale-Maffè:
«L'Aem ha ripulito il proprio bilancio da una posizione finanziaria non più congruente con la strategia di focalizzazione sull'energia, retaggio di un approccio multiutility diversificata ormai largamente in disuso». Vero, ma Maffè non dice che l'AEM l'ha fatto nel modo peggiore. Zuccoli ha sostenuto che AEM non è in grado di gestire il business, ma (1) gestire fibra spenta richiede competenze minime e (2) la rete è utilizzata oggi al 10% delle proprie capacità e la domanda di connettività spenta è in crescita verticale grazie alla riduzione dei costi delle apparecchiature necessarie ad accenderla. Oggi gli attrezzi per accendere la fibra si acquistano a la metà di quanto costavano un anno fa e continuano a scendere, mettendo l'investimento a portata della media impresa e presto della piccola che ha bisogno di molta banda. Il bilancio avrebbe potuto essere sistemato molto più proficuamente facendo fruttare la rete anziché regalandola o quasi.
«Gli accordi di cessione prevedono clausule che vincolano l'integrità e la disponibilità della rete di telecomunicazioni per finalità di servizi alla comunità locale, come telemedicina, telesoccorso, sicurezza e educazione a distanza». Da quanto è dato di sapere (poco) esiste solo un patto parasociale, debolissimo, con clausole talmente generiche da essere impugnabili con facilità.
«L'ingresso del grande capitale finanziario internazionale è per Metroweb un test fondamentale di attrattività: solo sviluppando una domanda matura e sofisticata arriveranno gli investimenti industriali necessari allo sviluppo». A parte che qui è entrato un capitale non piccolo, ma piccolissimo (chiaramente di facciata), il fondo ha meno capitale di quanto costa Fastweb (nonostante sia stata venduta per quattro soldi). Quello che il commentatore non dice è che per Metroweb non c'è un accidente da sviluppare. La rete è lì, bella che pronta a raccogliere clienti e non si vedono all'orizzonte tecnologie alternative in grado di impensierirla (per favore, si eviti di raccontare la farloccata del doppino che fa concorrenza alla fibra, perché è una balla).
«Meglio sarebbe infatti attirare sui Navigli quanto Google ha programmato per Baia di San Francisco, ovvero la disponibilità di connettività wireless in banda larga su standard aperti. La tecnologia non cresce a isole felici, ma a nodi rete interoperabili che attirano una massa critica di domanda e offerta di servizi». Non esiste una sola ragione per la quale la proprietà pubblica della rete in fibra avrebbe potuto essere d'ostacolo all'implementazione da parte di privati di una rete wireleass a banda larga, di reti su rame e perfino sull'energia dello Spirito Santo quando verrà disponibile. Non una sola. Ogni infrastruttura diversa è un'isola (felice o no, dipende da com'è realizzata), ma è nella natura della rete la possibilità di interconnessione. E' una cosa che Maffè evidentemente non conosce: si chiama Internet e sulla base di protocolli comuni consente al suo PC di casa di connettersi con un server australiano. Sono esattamente le isole interconnesse a cui fa riferimento, che si parlano indipendentemente dal proprietario dell'infrastruttura.
In conclusione: c'è un'unica affermazione condivisibile nell'articolo di Carloalberto Carnevale-Maffè: la vicenda Metroweb è stata un'illusione. Ma per i cittadini milanesi, illusi che per una volta un magma di affaristi senza scrupoli, amministratori famelici e boiardi del calibro di Zuccoli potessere gestire la cosa pubblica a vantaggio della collettività. La vicenda Fastweb-Metroweb è stata dominata dalla supremazia dell'interesse privato, che ha portato guadagni colossali in tasca agli affaristi e qualche briciola in tasca alla collettività. Questa vendita è la logica conclusione e la responsabilità politica della neosindaca Letizia Moratti e di tutta la sua giunta è enorme e peserà come piombo, compromettendo la credibilità di ogni suo atto a venire. A noi, ai milanesi, resta il ricordo di tante strade bucate, lo smacco per l'ennesimo utile regalato ai privati e la certezza che il canone Fastweb aumenterà nel giro di qualche mese. Grazie a tutti.
da Corsera del 4 agosto 2006
FINE DI UN'ILLUSIONE
di Carloalberto Carnevale-Maffè
La cessione di Metroweb a un fondo internazionale di «private equity» segna la fine dell'illusione autarchica che voleva Milano isola facile della fibra ottica, impossibile modello metropolitano di integrazione verticale tra infrastruttura di rete, servizi e contenuti.
L'Aem ha ripulito il proprio bilancio da una posizione finanziaria non più congruente con la strategia di focalizzazione sull'energia, retaggio di un approccio multiutility diversificata ormai largamente in disuso. Gli accordi di cessione prevedono clausule che vincolano l'integrità e la disponibilità della rete di telecomunicazioni per finalità di servizi alla comunità locale, come telemedicina, telesoccorso, sicurezza e educazione a distanza. Ma la lezione che Milano deve apprendere da questa vicenda è chiara. È l'insuccesso prevedibile e previsto della pubblica amministrazione come «venture capitalist» e selezionatore di opzioni tecnologiche. L'ente locale smetta di fare l'apprendista stregone dell'high-tech con i soldi dei cittadini, e concentri i propri soldi nello sviluppare una moderna domanda di servizi avanzati pubblica utilità, lasciando alla competizione fra imprese la scelta delle soluzioni più adeguate sul lato dell'offerta.
Per il futuro Milano deve resistere alle tentazioni di dirigistiche da Minitel municipale di scuola francese, e rinunciare ad affermare un improbabile rito ambrosiano nella dominante liturgia globale delle telecomunicazioni, dove a ogni stagione emergono tecnologie alternative, il cui successo non può essere controllato da una sola città. L'ingresso del grande capitale finanziario internazionale è per Metroweb un test fondamentale di attrattività: solo sviluppando una domanda matura e sofisticata arriveranno gli investimenti industriali necessari allo sviluppo.
Meglio sarebbe infatti attirare sui Navigli quanto Google ha programmato per Baia di San Francisco, ovvero la disponibilità di connettività wireless in banda larga su standard aperti. La tecnologia non cresce a isole felici, ma a nodi rete interoperabili che attirano una massa critica di domanda e offerta di servizi. Milano si merita il meglio della tecnologia: punti le risorse pubbliche sulla disponibilità di accesso wireless per il ceto professionale, per gli studenti, per le aziende, invece di fare buchi per strada, o peggio, nell'acqua.