«La vera barbarie è l’intolleranza»
Diocesi e «Avvenire» avevano accusato: soldi
pubblici per un festival porno e omosessuale
di Onide Donati
Più che un giudizio estetico, è una stroncatura preventiva: quello che da oggi al 4 novembre andrà in scena in alcuni palcoscenici e schermi di Bologna, per la Curia è «un’invasione barbarica che oltraggia la fede e la ragione». E quella che segue,
più che una domanda retorica, ha tutte le sembianze di un anatema: «È lecito spendere soldi pubblici per finanziare spettacoli omosessuali di pornostar mascherati da artisti?». Qui siamo oltre la «Bologna sazia e disperata» che, negli annali della storia petroniana, fino a ieri suonava come il giudizio più tagliente che mai un vescovo (il cardinale Giacomo Biffi) avesse espresso sulla comunità di anime ecumenicamente amministrata; qui la chiesa - con un articolo non firmato del suo settimanale Bologna Sette, che la domenica esce insieme ad Avvenire - scorge sotto le due torri sodoma e gomorra, scene cupe di sesso, omosessualità dilagante... I barbari, appunto. Da restare interdetti. Scartata la strada del dialogo nel merito artistico - c’è poco da ragionare con chi ti lancia un anatema -, il sindaco Sergio Cofferati ieri non è stato certo lì a lavorare di cesello e ha stroncato la stroncatura: «Penso che la libera espressione nell’arte e nella cultura rappresenti una delle grandi conquiste dell’uomo nell’etica moderna e sia la ricchezza del vivere civile in uno stato laico. Solo la censura, il pregiudizio e l’intolleranza rischiano di riportarci al tempo dei barbari». Controreplica, ieri sera, della Curia: «Le dichiarazioni del sindaco sconcertano e addolorano... La Chiesa non censura nessuno, ma non accetta neppure di essere censurata, perché non può abdicare al suo dovere-diritto di parlare per il bene e per la dignità della persona umana».
Insomma, una scontro in piena regola destinato a cambiare i rapporti, fino ad oggi tutto sommato cordiali se non proprio calorosi come all’epoca di Guazzaloca, tra via Altabella, dove ha sede la Curia e Palazzo d’Accursio. Tutto per un festival che si muove tra corpo, identità, orientamento sessuale. «Gender Bender», così si chiama il festival, è un’esperienza artistica che ha alle spalle tre edizioni di successo (la prima, addirittura, quando in carica c’era la giunta di centrodestra) emai una polemica. È promosso da «Il Cassero, gay lesbian center», che da vent’anni realizza progetti dedicati alle «differenze». L’assessore alla Cultura Angelo Guglielmi, che non ha avuto dubbi nel sostenere e finanziare il festival, sabato dopo l’anticipazione dell’articolo (che il vescovo vicario Ernesto Vecchi aveva fatto capire di condividere), era sbottato: «Ma se si tratta di un evento di prima qualità... Non è andato ancora in scena uno spettacolo, un film, e già parlano di pornografia. Il pregiudizio fa torto alla furbizia della Curia, di solito piuttosto furba nel nascondere i suoi pregiudizi». Libero Mancuso, altro assessore di Cofferati, aveva allargato il discorso: «Strano che le Curie italiane non si scaglino contro la volgarità e l’imbarbarimento dispensato ogni giorno dalla televisione e se la prendano con le manifestazioni dei diversi».
Il tutto avveniva in una giornata già effervescente per una diatriba tra Vecchi e un altro assessore, Giuseppe Paruolo: il destino delle ceneri dei morti cremati, che una legge regionale prevede possano essere disperse anche al di fuori dei cimiteri. Paruolo aveva riservatamente sondato il numero due della Curia per verificare se era disponibile a benedire un campo destinato ad accogliere lo spargimento delle ceneri. «No - la secca, e pubblica, risposta - le ceneri vanno conservate in un’urna e collocate in un cimitero. Spargerle così è una roba da americani».
ahhh.
(poco) ossigeno sociale che ogni tanto fa bene alla respirazione.
Avete una vaga idea di cosa succederebbe a qualcuno/a di quelli/e se un Festival del Gendere :-) provassero a farlo in un Paradiso in Terra della Sharia ?