Gli untori di Gheddafi
di Siegmund Ginzberg
Quando alla fine degli anni Novanta iniziò la moria per Aids dei piccoli pazienti dell’ospedale pediatrico di Bengasi, che ne dessero la colpa ad untori in combutta con la Cia poteva anche avere una sua logica. La Libia del colonnello Muammar Gheddafi era al bando come lo Stato canaglia per eccellenza, sponsor e gestore in proprio di ogni terrorismo. Più difficile individuare una spiegazione al perché abbiano voluto riciclare le accuse assurde, e ricondannare a morte gli “untori”, anni dopo la svolta per acquisire una nuova rispettabilità
Il tutto soltanto pochi mesi dopo che tale svolta era sfociata nel ripristino di normali relazioni con gli Stati uniti.
In sé, la storia delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese accusati e condannati per aver “deliberatamente” infettato col virus Hiv 426 bambini dell’ospedale dove lavoravano (cinquanta nel frattempo sono morti di Aids), sembra tratta di peso dalle pagine sulla peste dei «Promessi sposi» e dalla «Storia della colonna infame» di Alessandro Manzoni. Si doveva trovare una spiegazione al perché un contagio associato alla decadenza morale dell’Occidente si fosse diffuso così rapidamente tra gli innocenti in un Paese che si considera all’avanguardia della purezza islamica. La più comoda era scoprire un grande complotto del Satana americano, così come nella Milano del ’600 si erano incolpati gli untori prezzolati dal demonio. Così come succede da secoli, un po’ dappertutto: dall’Inghilterra di Shakespeare dove un medico ebreo fu giustiziato con l’accusa di aver voluto avvelenare la Regina Elisabetta su ordine del cristianissimo Re di Spagna, alla Mosca dei medici ebrei accusati di voler ammazzare il loro paziente Stalin.
Il medico e le infermiere furono arrestati, torturati, forse si riuscì persino a farli confessare, esattamente come gli untori confessavano di aver diffuso la peste. Sette anni dopo, in un primo processo, furono condannati alla fucilazione. Fecero appello alla Corte suprema, che sei mesi fa impose una revisione del processo. È al termine di questo che sono stati nuovamente condannati a morte. Senza che la corte abbia mai voluto prendere nemmeno visione di un rapporto firmato da due dei massimi esperti di Aids europei, lo scopritore dell’Hiv Luc Montagnier e l’italiano Vittorio Colizzi, che concludono che l’epidemia è antecedente l’arrivo in Libia degli operatori stranieri accusati, e di un più recente appello firmato da ben 144 premi Nobel che invitava a riconsiderare «prove scientifiche indipendenti».
La sentenza, veniamo a sapere, è stata accolta con giubilo dai familiari delle piccole vittime. Hanno intonato cori di «Allah o akbar», si sono sentite esortazioni al leader supremo, il colonnello Gheddafi: «Avanti così, nostro falco, continua a sfidare l’Occidente!». Può darsi benissimo che anche il più autoritario tiranno abbia un’opinione pubblica da rabbonire ed accontentare. Qualsiasi capro espiatorio può essere più conveniente che ammettere la defaillance del sistema sanitario libico, il sospetto che, come è assai probabile, le scorte di sangue fossero infettate da tempo, e il virus abbia mietuto le sue piccole vittime perché non c'erano abbastanza aghi ed attrezzature.
Del resto era stato il colonnello in persona ad avallare, a suo tempo, l’idea del grande complotto Cia contro il suo Paese. Se persino un sant’uomo come il cardinale Federigo Borromeo avallò, perché così pretendeva la sua opinione pubblica, le torture, i processi e i roghi dei presunti untori, non ci si poteva aspettare certo di meno da Gheddafi. Ma era ancora un’epoca in cui la Libia era al bando, appestata dal terrorismo, dal sospetto di volersi dotare di armi chimiche, batteriologiche, e persino atomiche, non erano passati molti anni da quando Ronald Reagan aveva cercato di ammazzare il colonnello, la Libia si guardava ancora bene dal riconoscere le responsabilità dei propri servizi segreti nell’esplosione del Boeing Pan Am 103 nel cielo di Lockerbie, in Scozia. La cosa che non si capisce è perché abbiano bisogno delle vecchie favole tre anni dopo la svolta con cui la Libia aveva dichiarato la gran rinuncia alle armi di distruzione di massa, e iniziato un ravvicinamento all’Occidente e ai suoi investimenti, anche se non ancora alla democrazia.
Si possono fare solo ipotesi. Una è che il colonnello abbia i suoi problemi di opposizione interna. Un’altra è che si tratti di un volgare mercanteggiamento sul prezzo: c’erano stati tira e molla a non finire sui risarcimenti promessi per le vittime di Lockerbie, ora pare chiedano milioni di dollari in risarcimento alla Bulgaria - che tra qualche mese diverrà membro a pieno titolo dell’Unione europea, i bambini contagiati dell’Ospedale Fateh di Bengasi sono stati nel frattempo smistati in diversi centri europei. La più improbabile è l’ipotesi che la giustizia sia davvero indipendente in Libia, e che su decisioni del genere non conti il parere del colonnello. L’ipotesi di gran lunga peggiore e più inquietante sarebbe se Gheddafi si fosse pentito della scelta fatta nel 2003, avesse concluso che gli conveniva di più fare il duro, sfidare il resto del mondo come hanno fatto Kim Jong Il e Mahmoud Ahmadinejad. A nessun Paese piace farsi dire dagli altri come applicare la propria giustizia (non alla Cina, ma nemmeno agli Stati uniti). Eppure, anche nei sistemi giuridici più consolidati a volte considerazioni di opportunità politiche nazionali fanno peso sui principi: come nel caso della decisione a Londra di lasciar correre sull’inchiesta di corruzione della famiglia reale saudita.
L'unica cosa evidente è che la cosa non finisce qui. Hanno fatto sapere che i poveri “untori” ora possono fare appello alla Corte suprema, e se questa si pronunciasse contro di loro, un successivo appello all’Alto consiglio di giustizia. A meno che prima non arrivi una spettacolare grazia.
Il simpatico mondo anticapitalista arabo e islamico..
amico di SB... ma lasciam stare... c'è una "spettacolare grazia" proprio fra pochi giorni per la quale consiglierei di spendere in neuroni...
Carolina
Eh?
Carolì, tendi al linguaggio oscuro-divinatorio-ellittico..non ti capisco
"Il simpatico mondo anticapitalista arabo e islamico.."
Mah, considerato che la logica del capro espiatorio e della sua esibizione in pubblica piazza non e' molto diversa da quella di molte altre "sane" pratiche di demagogia sparse nel mondo e nella storia, come, ad esempio, le politiche di segregazione razziale di Sud Africa e Stati Uniti del passato, oppure del maccartismo, sempre statunitense, c'entra poi molto il fatto che si sia nel "simpatico mondo anticapitalista arabo e islamico" piuttosto che altrove?
Per non entrare nel particolare, rammentandoci che la Libia, al pari dell'Iraq di Hussein, in fondo, e' un totalitarismo di paternita' piu' laica, rispetto al fondamentalismo islamico propriamente definito...
... E per non parlare del fatto che accostare la persona di Gheddafi al concetto di anticapitalismo e' difficilmente inquadrabile, se non in chiave di barzelletta.