Pd, una frustata in avanti
di Carlo Carboni
Cambiare pagina, uscire dal recinto del capitalismo del Novecento, tentare oltre i vecchi confini del socialismo: il tono «alto» con cui Reichlin su l'Unità ha affrontato il difficile passaggio al Pd suona suadente. Il nuovo capitalismo bussa alla porta rilasciandoci una nuova società e un nuovo rapporto tra l'economia globale delle grandi multinazionali foot loose e le istituzioni nazionali. Reichlin è insomma per «la pagina nuova» come direbbe Richard Sennett, e il Pd dovrebbe essere lo strumento per leggerla e interpretarla nel modo migliore. La società frammentata e complessa di oggi testimonia la crisi della società di massa così come la concettualizzò Ortega y Gasset, e richiede ben altro che i tradizionali partiti di massa o i «partiti personali» che attualmente imperversano sullo scenario politico mediatizzato.
Tuttavia, elevando il tono dell’analisi, Reichlin mette drammaticamente in evidenza anche tutte le angustie e le incongruenze di una concezione ristretta del Pd, la quale, al momento, sembra l'unica «marciante» nella realtà della politica «nei paraggi» dei Ds e della Margherita. E allora? Forse più che di una pausa di riflessione come ha suggerito ragionevolmente Pasquino, più che di un backlash, di una frustata all'indietro, avremmo bisogno di un Pd in grado di dare una frustata in avanti all'attuale stato delle cose: occorrerebbe imboccare decisamente un progetto di riforma del sistema politico come passo concreto per un miglioramento della rappresentatività nella nostra democrazia.
Zingaretti e Fassina, alcuni giorni fa, sempre su questo giornale, lo hanno scritto con chiarezza, avanzando sei punti di riflessione, tra i quali il primo riguarda la «porta stretta» dell'autoriforma della politica attraverso cui è necessario transitare per accedere ad un riformismo convincente e concreto. Il loro ragionamento parte giustamente dalle classi dirigenti, troppo disconnesse da ciò che ha in animo la gente e quindi incapaci di mobilitare quel potenziale cognitivo ed emotivo che occorrerebbe per cambiare le cose in meglio nel Belpaese. Tuttavia, le classi dirigenti non solo sono distanti, come una volta si diceva, dal «paese reale», ma anche da se stesse, poiché la personalizzazione della politica, induce spesso i singoli leader a criticare le stesse classi dirigenti alle quali essi appartengono, facendo intendere che le incapacità riguardino sempre gli «altri» leader o altri spezzoni di élite. In tal modo, i discorsi sulle carenze di senso di responsabilità sociale, sui meriti beffati dagli ingressi laterali riservati a fedeli e obbedienti, sul necessario cursus honorum che dovrebbe caratterizzare la formazione e la selezione delle classi dirigenti, evaporano e lasciano campo libero ad un individualismo amorale che percorre non solo la società, priva di una vera guida. ma anche la classe politica stessa.
Non pochi dirigenti dello stesso centrosinistra ritengono in cuor loro che riforme importanti siano irrealizzabili senza rischiare di perdere quel consenso che essi hanno guadagnato con estenuanti transazioni e negoziazioni con interessi particolari. L'importante non è decidere ma durare, tirando acqua al proprio mulino.
Ma così l'interesse generale e pubblico vive solo in funzione degli interessi particolari e privati e il nostro paese, già caratterizzato da un «capitalismo senza capitali», accusa anche l'assenza di reali egemonie politiche. Rendite e privilegi, sempre più padrone del campo, rischiano di impoverirlo e centrifugarlo ai margini del nuovo capitalismo. E bloccano anche i boccaporti che portano alle «stanze dei bottoni», con giovani e donne decisamente relegati ai piani inferiori, a subire i gravi inceppamenti della nostra mobilità sociale. Il Pd dovrebbe servire innanzitutto a sbloccare questa politica in cui la società si specchia, a uscire dai vecchi rituali del tesseramento di fedeli militanti per confrontarsi e coinvolgere più direttamente la cittadinanza attiva. È vero, i cittadini è da venti anni che continuano nei sondaggi a sfiduciare la propria classe politica, ma è altrettanto vero che nella politica continuano a credere come dimensione per trasformare e migliorare la società democratica. Il Pd dovrebbe raccogliere questa speranza e rivitalizzare il rapporto tra poteri democratici e civismo. Ma per far questo, senza offesa per alcuno, dovrebbe andare assai oltre l'attuale visione ristretta delle segreterie.
"Il Pd dovrebbe raccogliere questa speranza e rivitalizzare il rapporto tra poteri democratici e civismo. Ma per far questo, senza offesa per alcuno, dovrebbe andare assai oltre l'attuale visione ristretta delle segreterie."
Questo e' sacrosanto e lo ha capito anche mio figlio di 3 anni. Solo i segretari di partito e i loro scagnozzi non l'hanno capito, complice l'indifferenza della base.