La ferita morale inflitta agli omosessuali
di Moni Ovadia
Gli ultimi dieci giorni li ho trascorsi a partecipare ad incontri organizzati da scuole pubbliche ed altre istituzioni per commemorare il Giorno della Memoria. Non amo la logica celebrativa pertanto mi sono impegnato per dare il mio contributo di testimonianza etica e civile, soprattutto alle giovani generazioni, per trasmettere con passione il valore della memoria nell'edificazione dei principi universali di fratellanza, solidarietà, uguaglianza, libertà e democrazia. Mi sono sforzato di chiarire il significato rinnovato di una società democratica come quella in cui viviamo, della libertà di cui godiamo rispetto all'orrore di una qualsivoglia tirannia dove neppure il più indifferente e conformista degli uomini può essere al sicuro dalla falsa delazione di un vicino invidioso e dal calvario in cui potrebbe precipitare a dispetto della sua insensibilità politica. Ho parlato molto del presente e del futuro per collocare il mio discorso nella celebrazione della vita, in una prospettiva di senso transgenerazionale.
Ma quando mi sono rivolto al passato per ricordare che il nazismo, nei suoi nemici d'elezione ha colpito l'uomo, percuotendolo nella sua verità più lancinante, la verità fragile della debolezza, della diversità e dell'alterità, ho provato un profondo e crescente senso di disagio. Quel disagio è trascorso in un acuto sentimento di indignazione. Questa tempesta emozionale si scatena nell'animo di ogni persona sensibile alla dignità del prossimo chiunque egli sia, ma è particolarmente familiare a chi proviene da una minoranza perseguitata e non se lo è dimenticato. La rimozione di tale appartenenza, può essere provocata da un istinto di protezione verso i riflussi del dolore e dell'umiliazione subiti ed è certamente comprensibile ma non giustificabile. Io custodisco in me orgogliosamente la memoria di tale appartenenza e ne ho fatto strumento di orientamento etico. In questo momento, nel nostro paese si sta producendo un terribile vulnus morale contro alcune minoranze sociali ed in particolare contro i nostri concittadini omosessuali. La questione qui non è semplicemente politica: non è tanto il problema dei pacs o come altro li si voglia chiamare per non urtare una sensibilità ipertrofica - ipertrofica al punto di volere colonizzare ogni altra sensibilità come se esistesse una graduatoria a priori nelle sensibilità umane o come se fosse lecito rivendicarne un primato -, non si tratta neppure di una questione fra cattolici e laici - vi sono cattolici assai più laici di tanti sedicenti laici -, né tantomeno di un sentimento cristiano verso il quale personalmente nutro il più alto rispetto ed interesse. Qui si tratta di un tentativo discriminatorio di stampo razzistico nei confronti di un'alterità, del suo statuto identitario e dell'universale impronta umana cui appartiene come qualsiasi altra identità di minoranza o maggioranza che sia. Anche se ammantato di belle maniere, c'è un fetore di disprezzo, una fibrillazione di inespresso prurito alle mani. Sotto la crosta trattenuta delle parole corrette, c'è il palinsesto delle espressioni di vieta memoria: cosa vogliono con i loro capricci? Che se ne stiano al posto loro e si rendano conto che non sono normali. Non pretenderanno mica di farsi una famiglia? Sono contro natura... e via pontificando. Tanto è facile sulla pelle e sui sentimenti degli altri. Fra non molti anni ci vergogneremo di questi pensieri indegni del più elementare sentimento di rispetto umano. Forse allora qualche Solone televisivo, appropriatamente liftato, ci spiegherà tartufescamente sorridendo e scoprendo i denti splendenti attraverso l'abbronzatura trapiantata, che era la sensibilità dell'epoca come oggi si dice riferendosi al divorzio e il moderato annuirà sussiegoso mai scalfito dalle sofferenze degli altri.