Il problema dei numeri non nasce in Parlamento
di Massimo Villone
Possiamo tirare il fiato: il Senato certifica che il centrosinistra ha i numeri necessari. Ma i margini rimangono strettissimi. E diviene cruciale l’«autosufficienza della maggioranza»: concetto su cui si è snodata la crisi. Ribadisco ancora una volta. Quando il governo vuole vincolare la maggioranza senza se e senza ma, pone la questione di fiducia. Il voto si sposta dal merito alla sopravvivenza del governo. e su questo ognuno si esprime. Quando invece il governo vuole la coalizione compatta, ma non intende porre la fiducia, costruisce con la maggioranza parlamentare una proposta che raccolga il consenso di tutti. Quando infine il governo non vuole seguire né la prima né la seconda strada, accetta i consensi da qualunque parte vengano, facendo appello a un voto bipartisan senza preclusioni. Quel che non si può ragionevolmente fare, in specie di fronte a maggioranze risicate, è non porre la fiducia, e tuttavia richiedere un’assoluta coesione di maggioranza nel voto come condizione per la sopravvivenza del governo. Una questione di fiducia sostanziale, però poco efficace nel compattare la maggioranza perché non si vota sulla formale sopravvivenza del governo; mentre basta e avanza a compattare sul no l’opposizione. Un doppio effetto negativo.
Questo è esattamente accaduto. Speriamo che la lezione serva. E veniamo invece alla maggioranza autosufficiente senza i senatori a vita, altrimenti detta «maggioranza politica». Un senatore a vita conta per un voto, come ogni senatore. Se il no di un senatore a vita facesse mancare sulla fiducia i numeri necessari, non v’è dubbio alcuno che la fiducia stessa sarebbe negata, e il governo costretto alle dimissioni. E allora perché mai non dovrebbe essere vero l’opposto? Se Andreotti avesse votato no - come Cossiga - o si fosse astenuto, al sì di 158 senatori elettivi si sarebbe contrapposto un pari numero di contrari. A rigore, l’autosufficienza della «maggioranza politica» sarebbe venuta meno. Per alcuni il governo avrebbe dovuto dimettersi. Sarebbe stato giusto e utile il vantaggio venuto al centrodestra da quel voto negativo o astensione, invece ingiusto e privo di legittimazione il vantaggio per il centrosinistra del sì di altri senatori a vita, per un totale di 162 favorevoli? I manuali di diritto costituzionale siano lasciati ai professionisti e, se altri ne stanno scrivendo, correggano le bozze prima della stampa.
Dunque, la maggioranza - senza aggettivi - è oggi a 162. Comunque, un margine minimo. Ma la questione non nasce in Senato. Viene da lontano, da un’elezione vinta a metà, da un Paese spaccato. Questo suggeriva un’azione di governo volta a rafforzare il consenso popolare: premessa indispensabile per il consolidamento della precaria condizione della maggioranza in Senato. Si è fatto il contrario. E come si può consolidare una maggioranza parlamentare mentre nell’opinione pubblica crollano i consensi a chi governa?
Il punto cruciale è riprendere contatto col Paese, e coglierne le domande. Dare risposte sui problemi di vita di milioni di persone: lavoro sicuro, retribuzione dignitosa, sicurezza, istruzione, salute, pensioni, diritti antichi e nuovi. Rinsaldare l’etica pubblica in una politica che talora riprende le vie putrescenti del passato. E non illudiamoci che una riforma elettorale susciti passioni irrefrenabili. Vanno poi ritrovati i modi di una corretta presenza del governo in Parlamento. Il governo costruisca la proposta insieme alla sua maggioranza parlamentare, quando è necessario che sia in campo con una propria iniziativa formale. In caso contrario, lasci spazio alla dialettica politica nelle commissioni e nelle aule. È dunque apprezzabile la replica di Prodi sui Dico, che non va affatto intesa nel senso che la questione sia stata messa in soffitta. Infine, non inventiamo luoghi esterni al Parlamento, che sarebbero fatalmente travolti anch’essi dalle tensioni di un bipolarismo forzato. Qui passa il futuro del governo. I problemi non vengono da certa sinistra che fa danno al Paese. Su molte questioni la sinistra definita «radicale» esprime le correnti profonde dell’opinione pubblica - ed in specie del popolo di centrosinistra - più e meglio del resto della coalizione. Dunque, da quale sinistra viene il danno? E poi, siamo sicuri che venga da sinistra?
Il tempo è davvero galantuomo...
Io credo che per trovare una soluzione al problema dello scollamento tra elettori e eletti - problema che affligge anche la destra peraltro - ci voglia una riforma elettoral-programmatica. Ossia obbligare tutte le coalizioni o partiti politici che si presentano alle elezioni a fare primarie sul programma aperte a tutti coloro che si dichiarano elettori di quella forza o coalizione.
I cosiddetti leader sono un problema del tutto secondario. Ci troveremmo, finalmente, ad avere un confronto reale tra piattaforme programmatiche chiare. E l'opinione pubblica ne risulterebbe anche più responsabilizzata: sarebbe ben difficile dire "il governo fa schifo" (come è sacrosanto affermare oggi), per il semplice fatto che il governo starebbe applicando politiche volute espressamente dagli elettori. Niente bizantinismi, niente ricatti, di qualsiasi natura o provenienza.
E devolvere eventuali questioni spinose che dovessero emergere nel corso della legislatura a referendum senza quorum, sull'esempio della Svizzera. Il tutto per dare potere effettivo agli elettori, e per toglierlo a segreterie e leader più o meno "illuminati".
Perché esiste ancora una sinistra? I suoi elettori paiono sempre più in equilibrio instabile.