La Chiesa e l’uso politico del passato
Serve ancora la storia? Forse no. La faccenda Eichmann, il ritrovamento del suo passaporto, il suo passaggio da Genova, all’interno della rete protettiva di Padre Edoardo Dömöter intorno alla chiesa di San Antonio di Genova Pegli, rischiano di apparire un fatto clamoroso e allo stesso tempo un pettegolezzo. Un episodio che allude a qualcosa di enorme e allo stesso tempo un dettaglio. Per esprimere una valutazione senza scandalizzarsi occorre tenere presenti altri fatti e valutarli perciò che hanno di comune e di condiviso.
Il primo è quello relativo all’ospedale Galliera e riguarda la possibilità che un pubblico esercizio venga meno ai suoi compiti di pubblico esercizio. Una vicenda che dice semplicemente questo: ognuno stabilisce le proprie regole, anche laddove la sua dimensione pubblica lo obblighi a rispettare delle regole che sono in contraddizione con il proprio sentimento. Un conflitto di principio, rispettabile, ma che non prevede decidere di disattendere i propri obblighi pubblici.
Il secondo, discende dal primo, ma è bene valutarlo distintamente. Riguarda l’aborto e come in area cattolica giri un linguaggio diffuso (magari non in tutto il mondo cattolico) rispetto all’aborto - atto doloroso, triste, certamente traumatico – che lo riduce un atto deliberato sterminativo, e dunque assimilato al nazismo. Meglio trattato con le stesse parole del nazismo. Il problema è l’uso appropriato di termini. Questione non secondaria, anche in relazione alla formazione di una corretta e articolata consapevolezza pubblica. Quando il tono della polemica si alza e la parola nazismo inizia a circolar con facilità, il risultato alla fine è la banalizzazione della storia. Effetto forse non desiderato, ma comunque dannoso in relazione alla formazione di una cultura civica consapevole.
La terza questione riguarda l’uscita in questi giorni di un volume di Emma Fattorini (Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi), in cui il problema torna ad essere il periodo caldo degli ultimi mesi di Pio XI (tra l’estate 1938 e il febbraio 1939). L’aspetto su cui si cono concentrate le critiche riguarda la stesura di un testo da parte di Pio XI sui totalitarismi che non vede mai la luce e il comportamento di Eugenio Pacelli, segretario di Stato, poi eletto al soglio pontificio col nome di Pio XII. Un volume che sembra destinato, pur con tutte le precisazioni che giovedì scorso Emma Fattorini ha dato a “La Stampa”, a suscitare malumori in una fase in cui la procedura per la beatificazione di Pio XII è stata dichiarata chiusa e approvata.
Tre elementi diversi che tuttavia hanno qualcosa in comune: la costruzione di un linguaggio iperbolico. L’effetto è lo smarrimento del centro del problema. E’ sul terzo che a mio avviso occorre concentrare la nostra attenzione. La terza questione riguarda nello specifico la storia, la possibilità di indagare il passato e di scavare intorno ai nodi problematici, comunque inquieti di una vicenda cui non si è stati estranei.
Perché è così dirimente questa terza questione? Perché dietro di essa passa l’intero apparato linguistico, concettuale e, in senso lato, culturale, con cui è stata affrontata la storia (attraverso il nodo concreto della Shoah). Il problema è quello del rapporto tra Chiesa e storia concreta e, nella fattispecie quello della Chiesa con i poteri politici. Non solo in termini di “verità”, ma soprattutto di come dopo si affrontano i nodi e i luoghi oscuri e incerti del passato.
La questione è quella dell’”uso politico del passato”, ovvero l’uso di fatti realmente avvenuti attraverso una manipolazione arbitraria e tuttavia persuasiva per un pubblico più sensibile agli slogan che alla riflessione complessiva sul passato. Un passato incerto il cui effetto è da una parte la liquidazione della storia e, dall’altra, un tempo senza scelte, dove contano figure simbolo che divengono, a diverso titolo, il termometro di tutte le possibili anime di un sistema che così si accredita come universale. L’effetto è un passato senza scelte, che diviene perciò uniforme.
La Chiesa ha dato un contributo rilevante all’affermazione di questo codice beatificando lo stesso giorno Pio IX e Giovanni XXIII, additando a modello e beatificando il cardinale croato Stepinac. La sintesi è molto semplice Il passato è macchiato dal peccato, tutte le parti sono colpevoli. Rivolgiamoci al futuro.
E’ una sintesi che nel momento stesso in cui formalmente si confronta con la storia, di fatto la evita e con ciò dichiara che tutti gli sforzi di uscire dal provvidenzialismo di fornirsi di una visione laica, dove contano le persone, le responsabilità, in breve il rapporto tra in individui ed eventi, è destinato ad essere messo a tacere. Serve ancora la storia?
02.06.07 10:24 - sezione
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