Pesce, comunista tutti i giorni

Mi telefona un giovane Alessio dell'archivio della Resistenza di non ricordo il nome perché sono rincoglionito. Mi dice Giovanni Pesce è morto stamattina.
Sono solo nella casa di mio fratello a Torre. Fa caldo. Fatico il respiro. A sessantasette anni si può anche piangere e piango e non ho voglia di fare la storia di Giovanni che è parte del mio sacro: il suo antifascismo, la sua Spagna, gappista a Milano e a Torino, medaglia d'oro della Resistenza. Una medaglia d'oro bisogna saperla portare e non credo di avere conosciuto nessuno che la sapesse portare come Giovanni: così, come cosa del suo vestire.
Al tempo dei miei sedici anni... 1956, appena iscritto al Pci sezione Martiri Giambellino, convittore del Convitto Scuola della Rinascita, Via Giambellino 115 Milano...Giovanni Pesce era un mito. Lì l'ho conosciuto la prima volta con qualche delusione poiché del mito nulla aveva: pacato, negli occhi una grande dolcezza, nessuna retorica, raccontò episodi della sua vita di comunista e di antifascista con bella semplicità e con piccoli sprazzi di autoironia. Noi della «banda dei quattro»: Vladimiro Barzoni figlio adottivo di Pietro Secchia, Marco Boninsegni cugino di Achille Occhetto, un altro forse Carlo Paletta nipote non se se di Giancarlo o di Giuliano e io... noi si ascoltava con una voglia di epos di figurazioni eroiche e lui Giovanni che proseguiva nella sua narrazione con toni piani e che terminò il suo dire con una frase che ho sempre ricordata: «... perché dovete capire che un comunista è prima di tutto un cittadino che crede nella democrazia e nella libertà e deve esserlo sempre sia nei momenti della lotta sia nella vita di tutti i giorni».
Ci siamo incontrati più volte. Per qualche tempo è stato socio del Circoloarcicorvettocheincormistà, anni '80 e '90. Di quando in quando, pubblicamente, magari proprio lì nel bar del Circolo dicevo ad alta voce perché tutti sentissero «un partito comunista serio dovrebbe fare di te il segretario nazionale della Fgci» e si ghignava e una volta lui mi rispose «perché no, l'età giusta ce l'ho» e davvero ce l'aveva, dentro, come cosa del suo sacro tant'è che anche ora mentre scrivo c'è un verso di una canzone, dico di «Pietà l'è morta» la versione scritta da Nuto Revelli che mi pressa e mi canta dentro e mi urla che vuole scritta e che scrivo per dedicarla a te Giovanni e ad altri come te: «la meglio gioventù che va sotto terra».
La meglio gioventù, Giovanni, quella di comunisti sempre attenti al comunismo in modo spesso critico durissimamente critico ma mai revisionistico e in costante dispregio d'ogni potere personale.
Che cosa posso fare Giovanni? Mi tengo i ricordi: ho posti, strade, ex sezioni comuniste, sezioni Anpi per ricordarti e penso alla tua compagna Nori e alla Lina Ciavarella e alla Franca Sala e alla Irea Gualandi e ad altre compagne e compagni comunisti, ribadisco: comunisti, che sono stati e ancora sono «la meglio gioventù».
Certo, prima o poi a tutti tocca, ma non è vero, non è vero che «chi muore giace e chi resta si dà pace». Io non mi dò pace. Ciao Giovanni.
di
Ivan Della Mea
fonte: il manifesto