La retorica ideologica dei leader politici

I leader politici italiani sembrano affetti da una sindrome spagnolesca a cui non riescono a resistere. Come i blasonati della Spagna della decadenza, reagiscono alle difficoltà che li afferrano evocando progetti di grandi rinascite. E, infatti, si badi al loro linguaggio. Di fronte alla crisi che non ne risparmia alcuna, tutte le forze politiche in campo si propongono di dar vita a nuovi "grandi" soggetti. Mentre la gente comune li vorrebbe più efficienti, più capaci di risolvere i loro quotidiani problemi, con i piedi per terra, i partiti, quanto meno si sentono accreditati, tanto più promettono mari e monti: i fautori del Partito democratico "un grande partito" candidato a far risorgere l´Italia offrendo all´Europa un originale modello di riformismo; l´Udc "un grande centro" in grado di far uscire il paese dalle secche di un bipolarismo malato; la destra "una grande destra"; la Cosa rossa "una grande sinistra", la quale metta all´ordine del giorno "il socialismo del XXI secolo".
Queste le ambiziosissime finalità, che, solo che si osservi la scena, cozzano frontalmente con realtà delle cose italiane e di ciò che i nostri partiti in affanno mostrano di essere in condizione di fare. La retorica ideologica, vera e propria ubriacatura, è diventata uno sport nazionale. Sennonché ecco come vanno le cose.
Se guardiamo in generale ai rappresentanti del popolo sovrano chiamati a dare risposte di alto profilo ai problemi del paese, eletti ma rigorosamente scelti dalle oligarchie che tengono in mano le chiavi dei partiti, vediamo che la qualità morale e culturale di non pochi di essi (ne abbiamo avuti esempi recentissimi) è quella consentita dal fatto di essere stati reclutati agli angoli delle strade. Se guardiamo alla capacità del Parlamento di mettere finalmente mano anzitutto alla riforma elettorale, per rimediare alla "porcata" partorita dal centrodestra (parole, come noto, del suo artefice), osserviamo che manovre e contromanovre ad ampio raggio sono state messe in atto, ma senza costrutto; e quel che alla fine i rappresentanti decideranno, nel caso non scontato in cui pervengano ad una decisione, sarà un esito conseguente all´essere stati presi per la gola dalla minaccia del referendum. Se guardiamo all´opera di governo, che pure risultati ha ottenuto con tanta fatica, non possiamo non riflettere sull´iter tormentato e incompiuto della riforma delle pensioni, dove i nodi di fondo della coalizione di centrosinistra sono venuti alla luce e sono destinati a riemergere.
E ora uno sguardo ai partiti, partendo dalla maggiore novità: il costituendo Partito democratico. Al di là che si sia suoi fautori o no, chiunque dovrebbe convenire che si è messo il carro avanti ai buoi. Non abbiamo ancora un programma che sia tale, non si è risolta la questione della collocazione nello schieramento europeo, i nodi in tema di laicità e di rapporti tra le varie componenti restano da sciogliere, il partito non ha né le regole che devono governarlo, né una base definita; ma si è aperta una gara per la leadership a livello nazionale e nelle periferie intessuta di polemiche, di attriti, di sgradevoli accuse e di sospetti reciproci. Il proposito di Alfredo Reichlin di veder sorgere un grande partito, votato a svolgere togliattianamente-gramscianamente-berlinguerianamente una "missione" di rinascita nazionale, a stesso suo dire minaccia di bagnarsi le ali prima di averle spiegate. E a sinistra del Partito democratico la situazione non sembra migliore. Lo Sdi di Boselli è fermamente ancorato al socialismo europeo, mira a compattare le forze disperse della diaspora socialista, i laici che si sentono attratti dalle ferme posizioni assunte dal partito sulla laicità, gli ex diessini; ma ha una base troppo ristretta, anche perché sui problemi sociali tiene una posizione troppo moderata. Poi abbiamo Rifondazione comunista, la quale si candida ad indicare le nuove vie del socialismo. Bertinotti ha vestito i panni di un rinnovatore, che, anche tra i suoi avversari, alcuni ritengono di elevato profilo politico-culturale. Sarà che non sono abbastanza sofisticato, ma a me pare che il discorso del Presidente della Camera si riduca a tre punti: dire no al capitalismo responsabile di una "crisi di civiltà"; dire no alla socialdemocrazia europea che non supera i confini del "liberalismo sociale"; candidarsi, con la Sinistra europea di cui è parte, a costruire, appunto, il socialismo del XXI secolo. Badando al sodo, si tratta né più né meno che della ripresa e dell´adattamento delle ambizioni del Berlinguer eurocomunista. Uguali i due no, uguale il disegno di ennesima rifondazione, senza alcuna indicazione di come affrontare il capitalismo, come andare oltre l´obsoleta socialdemocrazia, come configurare le istituzioni politiche ed economiche del socialismo futuro. Orbene, senza risposte tutto diventa evanescente. Da ultimo veniamo alla Sinistra democratica, la più recente formazione politica nazionale nata dalla prevedibile divisione dei Ds. I suoi appartenenti, che avevano trovato la loro comune ragione nella volontà di restare vincolati al Partito socialista europeo, si sono presto divisi: una parte pencola verso la Cosa o Casa rossa, in nome di un´accentuata sensibilità sociale e di future esigenze elettorali; un´altra verso lo Sdi, senza che per ora nessuna di esse abbia ancora fatto chiarezza sulle implicazioni di questa divisione e sulle determinazioni da trarne.
Il panorama non è confortante. Non lo è quello politico nazionale e non quello che riguarda il centrosinistra. Sui temi trattati in questo articolo è appena uscito presso Feltrinelli un sapido saggio di Emanuele Macaluso, Al capolinea. Controstoria del Partito democratico, dove egli scrive parole che ritengo esprimano bene le difficoltà che travagliano sia il Pd, sia le varie componenti della sinistra e il "capolinea" a cui tutte sono pervenute: «Insomma, sembra che ci troviamo, ancora una volta, punto e a capo: non c´è più il Pci, forza maggioritaria della sinistra separata dai socialisti europei, ma si progettano formazioni che "da destra" e "da sinistra" contestano il ruolo e l´opera del Pse». Ora non ci resta che stare a vedere dove ci porterà questa italica anomalia. Diventeremo l´avanguardia o resteremo il fanalino tra i maggiori paesi d´Europa?
di
Massimo L. Salvadori
fonte: la Repubblica